I russi hanno festeggiato poco la caduta del Muro. E a ragione
Il 58% della popolazione nemmeno sa da chi e perché fu costruito. In 20 anni il Paese non ha conquistato la democrazia, vive di esportazione di materie prime e in un anno ha perso 12 posti, secondo il rapporto sulla competitività mondiale. Il 20% degli abitanti è sotto la soglia di povertà.
Mosca (AsiaNews) – Pluralismo, democrazia, libero mercato. Più diritti umani (forse). Che la caduta del Muro di Berlino il 9 novembre del 1989 sia stato un evento storico foriero di cambiamenti positivi non è così scontato in molti dei Paesi al di là della ex Cortina di ferro. Secondo un sondaggio del PewResearch Center – condotto in nove nazioni dell’Europa centrale e dell’est su individui di età maggiore ai 50 anni – i più felici dei cambiamenti apportati alla loro vita dal crollo del comunismo sono cechi, polacchi e i cittadini dell’ex Germania est, mentre chi esprime maggiore insoddisfazione sono ucraini, bulgari e più di altri i russi.
Ieri, nel ventennale della notte in cui è tramontata la Guerra fredda, in Russia i maggiori quotidiani hanno riportato la notizia delle celebrazioni a Berlino, ma non certo con lo spazio che ci si aspetterebbe nel Paese che è stato tra i protagonisti di quell’evento. Il problema è che il 9 novembre 1989 è scolpito nella storia dell’Occidente, ma non in quella della Russia. Quella data è avvertita come non decisiva per la sorte del regime sovietico (che cadrà definitivamente solo due anni dopo) e ancora oggi il dibattito intellettuale nell’ex Urss non affronta la questione del Muro.
Secondo un’indagine dell'Istituto russo Vtsiom, il 58% dei russi – nonostante la buona conoscenza generale che questo popolo ha della sua storia - non sa chi ha deciso la costruzione del Muro. E il suo significato - il rafforzamento della posizione dell'Urss, la protezione del regime comunista dell'influenza straniera e il tentativo di evitare fughe di massa - è compreso correttamente soltanto dal 24% dei russi. Mentre la metà degli intervistati, il 52%, semplicemente non sa perché lo costruirono.
Secondo gli analisti, mentre la Germania riunificata e l’Europa si sono rapidamente integrate, mentre l’Oriente - con Cina e India in prima fila - si è lanciato in un sorprendente boom economico e nella globalizzazione, si può dire che la Russia sia l’unica a non aver cavalcato con successo il vento di cambiamento che spirava nel mondo in quegli anni cruciali.
Secondo Vladimir Ryzhkov, professore all’Alta scuola di economia di Mosca e politico indipendente, la Federazione russa non ha ancora superato la sua instabilità. Dopo vent’anni di esperimenti, dal riformismo di Eltsin al capitalismo da Far West degli oligarchi, dal regime di Putin fino alla crisi economica con Medvedev, la Russia cerca ancora di capire verso quale direzione muoversi. E a farne le spese sono, prima di tutto, i cittadini. In un editoriale pubblicato lunedì sul quotidiano The Moscow Times, Ryzhkov ricorda il “triplice fallimento” del Cremlino. “Prima di tutto, la Russia non è riuscita a modernizzare la sua sfera economica e sociale; poi non è stata in grado di costruire un efficace sistema politico, ma solo un regime autoritario; infine, ha perso il suo status di superpotenza mondiale, rimanendo di fatto senza alleati internazionali credibili e priva del consenso dell’opinione pubblica globale”, scrive il professore.
L’86% dell’export russo, pari a un terzo dell’intero Pil nazionale, consiste in materie prime, mentre l’80% dell’import è costituito da prodotti finiti. Ai tempi dell’Unione sovietica le esportazioni di materie prime costituivano solo il 48% del Pil. Oggi la Russia dipende interamente dall’export di risorse energetiche: oltre il 70% delle azioni sul mercato russo sono di compagnie che lavorano nel settore delle materie prime.
Ogni tentativo di creare un’economia moderna e basata sull’alta tecnologia è naufragato. La media delle entrate per un cittadino russo è la stessa di 20 anni fa, mentre oggi il 20% del Paese vive sotto la soglia di povertà. Più del 50% della ricchezza nazionale è concentrato nelle mani del 10% della popolazione: nel 2008, i 53 russi più ricchi possedevano un capitale pari al 30% del Pil nazionale.
Nel Rapporto sulla competitività mondiale del World Economic Forum, la Russia è scesa di 12 posti in un anno: è 63°, su 132 nazioni. Per la prima volta dietro a Paesi come Turchia, Messico, Brasile e perfino Azerbaijian.
Lo stessa involuzione si è registrata nel campo dei diritti umani. Nella classifica 2008 stilata dal The Economist sulla democrazia nel mondo, la Russia era al 108° posto su 167 Stati.
Forse la Russia, ieri, aveva ben poco da festeggiare. (MAl)
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