I russi fuggiti dalla guerra e l'opinione pubblica nei Paesi ex-sovietici
I risultati di un'indagine sociologica sui "relokanty" condotta nelle nazioni dove hanno trovato rifugio. Molti sono favorevoli ad accoglierli “temporaneamente”, mentre solo il 14% è pronto a riconoscerli come “cittadini del mio Paese”.
Mosca (AsiaNews) - Il Centro di ricerche sociali Platforma, insieme alla compagnia OnIn, ha pubblicato i risultati di un’indagine sociologica comune degli ultimi due mesi negli Stati ex-sovietici, dove sono ora diffusi sempre più i relokanty, i russi in fuga dalla guerra e dalla mobilitazione. L’inchiesta è stata svolta in lingua russa, escludendo quindi la parte della popolazione di questi Paesi che non parla la lingua dell’ex Unione Sovietica, soprattutto tra le giovani generazioni, e infatti i 1350 intervistati hanno tutti più di 18 anni.
La prima domanda del sondaggio riguarda le associazioni con la parola “russi”, le cui risposte sono divise tra 4 categorie: positivi, negativi, neutrali e stereotipi. Tra i positivi, che sono la maggioranza, ci sono i “buoni”, gli “aperti”, gli “amici” e i “fratelli”, mentre i titoli negativi sono soprattutto gli “alcolisti”, i “presuntuosi”, i “nazionalisti” e gli “aggressivi”. Tra i neutrali i sociologi annoverano risposte come “persone comuni, vicini, biondi con gli occhi azzurri”. Gli stereotipi si riferiscono a “sauna, balletti con la balalaika, Putin, Cremlino, Seconda guerra mondiale, freddo, grande Paese”.
Tutti attestano della “grande crescita” del numero dei russi immigrati, in Georgia lo hanno sottolineato il 92% degli interpellati, in Armenia l’83%, Kirghizistan 79%, meno di tutti la Bielorussia al 35% e la Moldavia al 34%. Su questo si innesta la domanda successiva, se i russi abbiano portato più vantaggi o più problemi nella vita dei Paesi interessati: sui primi sono convinti gli armeni (73%) e i tagichi (55%), mentre in Uzbekistan, Azerbaigian, Kazakistan e Bielorussia prevale la risposta “non hanno realizzato un influsso decisivo”, e oltre il 20% ritiene che “hanno fatto danni”.
I pareri più contrastanti si riferiscono ai due Paesi confinanti del Caucaso, Armenia e Georgia. Per i georgiani l’effetto più negativo è la crescita dei prezzi del costo della vita e degli immobili, insieme alla diminuzione dell’autorevolezza della Georgia davanti ai Paesi terzi, che sono esplicitamente in conflitto con la Russia. Gli armeni apprezzano lo sviluppo del commercio al minuto, e la crescita dei contributi fiscali, ma anche tra i georgiani molti apprezzano la possibilità di ottenere maggiori guadagni, per il lievitare dei costi dei servizi.
L’indagine non si ferma alle conseguenze economiche della presenza dei russi nei Paesi “amici”, ma cerca di approfondire l’importanza delle relazioni culturali, legati in gran parte al comune passato sovietico. Ovviamente i bielorussi esaltano la “vicinanza spirituale” al 55%, e a questo si accodano i moldavi con il 48%, mentre all’opposto vi sono gli azeri (26%) e i georgiani (27%). Molti sono favorevoli ad accogliere i russi “temporaneamente, come turisti” (26%), ma anche come “amici stretti” (18%), come “vicini” (17%), mentre solo il 14% è pronto a riconoscerli come “cittadini del mio Paese” (14%), “membri di famiglia” (8%) o “colleghi di lavoro” (6%). Gli stessi relokanty russi sono molto più aperti alla collaborazione: il 68% sente una “vicinanza spirituale” con gli abitanti dei Paesi di emigrazione, e il 44% è pronto a considerarli come “veri amici”.
L’ultimo blocco di domande riguarda la necessità o meno di concedere aiuti di Stato ai russi emigrati, e su questo il 54% degli abitanti di tutti i Paesi ex-sovietici è favorevole, mentre gli incerti al riguardo sono pari ai contrari. Molti ritengono necessari corsi di lingua (42%), la regolarizzazione ufficiale del posto di lavoro (41%) e più in generale l’adattamento culturale, con l’informazione sulla storia del Paese ospitante (35%). Dimensioni su cui gli stessi relokanty sono sostanzialmente d’accordo, anche se molti di essi vorrebbero dei sostegni economici, ipotesi su cui i cittadini del luogo non sono tanto del parere.
I commenti finali degli esperti, come la sociologa Maria Makuševa, mettono in guardia dall’accostamento dei pareri provenienti da Paesi diversi, da quelli caucasici, centrasiatici ed europei occidentali, che sono tra loro difficilmente compatibili. Rimangono comunque valide le antiche amicizie di eredità sovietica, ma emergono molte preoccupazioni per lo sconvolgimento che i russi portano nella vita economica dei Paesi “fratelli”.
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