I ribelli islamici pronti al dialogo con Aquino
Zamboanga (AsiaNews) –In attesa dei risultati ufficiali delle elezioni, il Moro Islamic Liberation Front (Milf) dà fiducia al nuovo presidente Benigno “Noynoy” Aquino e “spera in una risoluzione definitiva del processo di pace”. Oggi Mohagher Iqbal, responsabile dei negoziati di pace per il Milf, ha affermato: “A differenza del governo di Gloria Arroyo la vittoria di Aquino è stata libera da accuse di brogli. Egli come presidente ha più autorità morale e questo sarà significativo per i dialoghi”. Secondo il leader islamico, Aquino dovrà vincere le pressioni di quanti hanno interessi economici nella regione per poter giungere a un accordo che garantisca alla minoranza musulmana i territori e la loro gestione autonoma.
La regione di Mindanao a maggioranza musulmana è da oltre 40 anni teatro di un conflitto tra esercito filippino e gruppi estremisti islamici. Il Milf reclama il secolare dominio musulmano dell’isola per istituire uno Stato islamico indipendente. Dopo 10 anni di tregua, gli scontri sono ripresi nel 2008 a causa del fallimento dei dialoghi tra ribelli e il governo Arroyo, provocando oltre 750mila sfollati tra cristiani e musulmani e diverse centinaia di morti. Nel settembre 2009 a Kuala Lumpur (Malaysia) Milf e autorità hanno riaperto le trattative per la fine del conflitto, ma a tutt’oggi nessuna delle due parti ha firmato un accordo definitivo.
P. Giulio Mariani, missionario del Pime a Zamboanga (Mindanao) afferma: “Le parole di Iqbal sono un segno di buona volontà verso il nuovo presidente che ha avuto un grande successo popolare”. “In questi anni – continua – la Arroyo ha tentato in tutti i modi di firmare un accordo con i guerriglieri, per dare lustro al suo nome e ripulirsi dalle accuse di corruzione, ma ribelli e politici non le hanno concesso questo privilegio”. Secondo il missionario la buona riuscita o meno dei dialoghi tra Milf e il nuovo governo dipenderà molto dalle future alleanze politiche del presidente Aquino.
“Mindanao – aggiunge p. Mariani - è sempre stata una ‘macina al collo’ per tutti governi. La regione è vista come sorta di terra promessa, per l’abbondanza di risorse minerarie e agricole, ma nessuno investe per la poca sicurezza e la paura di violenze”.
Negli anni il clima di anarchia dovuto alla guerra civile ha permesso il sorgere di clan familiari, che controllano l’isola attraverso eserciti privati e la compravendita di voti in periodo elettorale. P. Mariani cita il caso di Andal Ampatuan sr. Questi è in carcere con l’accusa di essere il mandante del massacro di Maguindanao dove hanno perso la vita 57 sostenitori di Ismael Toto Mangudadatu, suo rivale nella corsa alle elezioni per la regione autonoma del Mindanao musulmano. Grazie al suo potere Ampatuan è riuscito a candidare e a sostenere a livello finanziario uno dei suoi fedeli, nonostante il sequestro di armi e beni di lusso. Mangudadatu, rimasto di fatto l’unico candidato credibile, ha vinto per soli 12mila voti. (S.C.)