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ASIA CENTRALE
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I processi di mafia tra Kirghizistan e Uzbekistan

di Vladimir Rozanskij

A Tashkent condannato a sei anni di carcere Salim Abduvaliev, un boss che si è fatto giudicare in patria per evitare condanne più pesanti in Kirghizistan. Figure potentissime e dagli intrecci pericolosi con il mondo della politica e lo sport. Al punto che anche gli arresti eccellenti suscitano più domande che certezze sulle indagini contro di loro. 

Tashkent (AsiaNews) - Ha fatto scalpore in questi giorni il processo a uno dei principali capi della criminalità organizzata nei Paesi dell’Asia centrale, l’uzbeko Salim Abduvaliev, che si è tenuto in patria per capi minori d’accusa in modo da evitare le condanne più pesanti in Kirghizistan, come scrivono diversi media dei due Paesi. Il processo si trascinava da marzo, e a Taškent il boss è stato infine condannato a 6 anni di carcere duro per traffico illecito di armi da fuoco e contrabbando, quest’ultima accusa con detenzione già scontata dal momento dell’arresto.

Nonostante la condanna, il capomafia non è ancora stato trasferito nel campo di prigionia e rimane a disposizione dei servizi di sicurezza. Gli avvocati hanno ottenuto per lui il ricovero in una clinica specializzata per controlli cardiaci, dove ha potuto incontrare il figlio Džasur che ha assicurato che “il papà sta bene, ma è molto dimagrito, non so perché non lo hanno ancora trasferito in prigione, non ci dicono niente”.

In Kirghizistan Abduvaliev è ricercato per diversi crimini, compreso un attraversamento illegale della frontiera insieme a un deputato del Žogorku Keneš, Emil Žamgyrčiev, che lo avrebbe aiutato nel difendersi per le accuse di voler attentare alla vita del presidente Sadyr Žaparov e ad altre autorità kirghise. Lo stesso presidente ha confermato la validità di tali accuse, in seguito a un’inchiesta congiunta dei servizi kirghisi e uzbeki, dichiarando il boss come ricercato a livello internazionale.

Secondo alcune fonti, il destino di Abduvaliev sarebbe stato discusso a quattr’occhi dai due presidenti Žaparov e Mirziyoyev prima dell’inizio di un’operazione di polizia in cui è rimasto ucciso un altro personaggio di spicco della criminalità organizzata, Kamči Kolbaev (vero nome Kamčibek Asanbek), e a cui sono seguiti in Uzbekistan diversi altri raid con arresti di decine di mafiosi di vari raggruppamenti.

I banditi del livello di Abduvaliev svolgono un ruolo cruciale nella vita di questi Paesi centrasiatici, essendo molto legati alla Russia fin dai traffici clandestini dei tempi sovietici, sviluppati poi nell’ultimo trentennio con grandi condizionamenti sulla vita politica delle società post-sovietiche. Nel 2016, il capo ora agli arresti fu uno dei principali sostenitori dell’attuale presidente uzbeko Šavkat Mirziyoyev, diffonde immagini in cui indossava una t-shirt con la scritta “Votiamo per Mirziyoyev”.

Noto in gergo come Salim-Bogač (“Salim il riccone”), il boss è anche produttore cinematografico e vice-presidente del Comitato olimpico dell’Uzbekistan, ed è il principale socio di un altro grande rappresentante della criminalità organizzata, Gafur Rakhimov, già presidente dell’International Boxing Association (IBA), considerato uno dei principali baroni del narcotraffico in tutto il mondo ex-sovietico.

In Kirghizistan sono stati arrestati per i rapporti con Abduvaliev il deputato Salajdin Ajdarov e l’uomo d’affari Žalil Atambaev, e anche alcuni loro parenti sono ricercati per traffici illeciti di vario genere sotto la protezione dei gruppi mafiosi. La saga del potere criminale occulto in Asia centrale sembra ancora lontana dall’esaurirsi, e anche gli arresti eccellenti degli ultimi anni, che i presidenti proclamano come vittorie definitive sull’illegalità, suscitano più domande e perplessità che certezze sulla vera natura delle strutture di questi Stati.

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