I leader russi utilizzano la crisi per accrescere il loro potere interno
Mosca (AsiaNews/Agenzie) – La leadership russa utilizza la crisi economica mondiale per rafforzarsi, con programmi di aiuti che rendono più forti le aziende statali e il loro controllo sulle stesse. E’ quanto ritiene uno studio del prestigioso Centre for Eastern Studies, specializzato nell’analisi dei Paesi dell’area ex sovietica.
Negli 8 anni di presidenza di Vladimir Putin la politica economica russa si è basata anzitutto sui forti introiti per l’esportazione di materie prime, come gas e petrolio, cosa che ha assicurato una costante crescita economica che ha favorito il pubblico consenso. Le imprese leader di settori chiave, come l’energia, il bancario e la manifattura di veicoli, sono state rinazionalizzate e i posti chiave occupati dai leader politici (lo stesso Putin è stato presidente del direttorato della leader bancaria Vnesheconombank Veb, il vicepremier Igor Sechin ha avuto un posto analogo per la petrolifera Rosneft e Sergei Chemezov, sodale di Putin dall’epoca sovietica, ha diretto la manifatturiera Rostekhnologii). Mosca ha poi imposto grandi limiti agli investimenti esteri in settori chiave, come le materie prime, e ha favorito l’espansione di queste ditte statali nel Paese e all’estero.
E’ un dato di fatto che nell’epoca Putin le compagnie statali sono passate dal 5% del Prodotto interno lordo al 65%, secondo l’European Bank for Reconstuction e Development.
Con la crisi finanziaria globale, i capitali esteri sono fuggiti dalla borsa russa (che ha perso circa il 60% da agosto a novembre), causando una crisi di liquidità. Crisi aumentata per il crollo dei prezzi delle materie prime, con il petrolio che da luglio a novembre è sceso da oltre 140 dollari al barile a meno di 50. Molte aziende russe hanno avuto difficoltà a onorare debiti verso soggetti esteri, anche per la difficoltà delle banche russe a concedere nuovi prestiti. Si prevede che nel 2009 l’economia russa cresca non più del 3%, rispetto al previsto +6%. Se il petrolio resterà sotto i 50 dollari al barile, ci sarà un deficit nel budget statale, da coprire tramite le riserve.
Il governo è intervenuto con aiuti per oltre 200 miliardi di dollari, erogati soprattutto tramite banche statali. Ha immesso oltre 75 miliardi direttamente a favore delle banche (soprattutto statali, come la Veb e la Sherbank); circa 7 miliardi nel mercato azionario (soprattutto a sostegno delle leader statali come la Gazprom e la Rosneft); 50 miliardi ad aziende importanti, in gran parte quelle di proprietà statale, in genere con la richiesta di poter nominare propri rappresentanti negli organi direttivi o garantiti con diritti sulle azioni o su proprietà e contratti. Inoltre Mosca ha attuato iniziative protezioniste, pure anzitutto a favore delle ditte controllate: come l’aumento del 30% per le tasse d’importazione di autoveicoli, di cui beneficia soprattutto la statale Avtovaz, prima produttrice russa di veicoli.
Esperti accusano Mosca di distribuire gli aiuti in modo non trasparente, ma in modo da espandere e rafforzare la sua presenza nell’economia, acquistando partecipazioni azionarie a basso costo, o aumentando il ruolo delle banche pubbliche che hanno anche preso il controllo di banche private (come la Veb sulla Svyazbank), o persino nazionalizzando di nuovo ditte private con il pretesto di salvarle dall’insolvenza. Inoltre limita ancora la presenza di investitori esteri, rifinanziando le ditte russe. E ha anche favorito le aziende già controllate dall’elite di potere, con robuste immissioni di capitale.
Tutti questi interventi vengono giustificati dalla grave crisi, attingendo alle grandi riserve statali accumulate, che i leader russi stimano sufficienti per almeno 2 anni. Ma – ammoniscono gli esperti – Mosca dovrà anche prevedere sussidi e servizi per la popolazione. Se il prezzo del petrolio rimane basso e la crisi durerà oltre un paio d’anni, il Cremlino potrebbe trovarsi a corto di fondi. Cosa che può aprire scenari imprevedibili.