I fumi della centrale di Hongsa minano la salute dei popoli indigeni in Thailandia
Collocato in Laos ma controllata da aziende thailandesi brucia lignite per esportare energia verso Bangkok. I primi studi condotti sulle popolazioni Lua confermano livelli esponenziali di mercurio nel loro organismo, confermando i timori ambientali da tempo sollevati.
Bangkok (AsiaNews) - Le aree prossime ai confini settentrionali della Thailandia - abitate da una varietà di etnie solo in parte integrate - sono anche una fucina di iniziative produttive indirizzate alla sostenibilità ambientale e a evitare la migrazione delle popolazioni. In questo senso vanno anche le pregevoli attività avviate dalla famiglia reale thailandese con l’intento di convertire le piantagioni di oppio in produzioni altrettanto remunerative ma di minore impatto sociale, come caffè, fiori, tapioca, gelso. La sensibilità ambientale nazionale e locale - che già ha forti limiti ad essere accolta su vasta scala negli interessi dei monopoli economici - si confronta sempre più anche con danni ambientali che hanno origine al di fuori del territorio thailandese.
Un esempio è l’utilizzo dell’alto e medio corso del Mekong per lo sfruttamento idroelettrico soprattutto da parte cinese con sbarramenti e impianti nel territorio della Repubblica popolare ma anche in Laos. E poi lo sfruttamento delle risorse nel Myanmar settentrionale, in buona parte di iniziativa cinese. Ma i corsi d’acqua non vanno solo acquisendo una portata limitata o intermittente a seconda degli interessi energetici, ma vengono anche contaminati in modo diretto o indiretto, come ad esempio con l’abbattimento a terra di inquinanti inizialmente diffusi nell’aria.
Un caso che emerge con rilievo anche sui mass media locali è quello delle emissioni originate oltreconfine, in Laos, dall’impianto termoelettrico dell’ Hongsa Mine Mouth Power Project nella provincia di Xayaboury. Inugurato nel 2015, controllata all’80% da aziende thailandesi, brucia annualmente 15 milioni di tonnellate di lignite per produrre energia esportata in buona parte in Thailandia.
Per cinque mesi all’anno i venti trasportano e depositano su una vasta area della provincia thailandese di Nan, abitata dalla minoranza Lua, particelle di mercurio. Dopo anni di allarmi, ora i primi studi condotti da importanti istituzioni accademiche vanno confermando il rapporto tra i problemi riscontrati localmente, le emissioni dell’impianto laotiano con l’accumulo di metalli pesanti in alcuni punti definito “intenso” e la crescente acidità dei suoli.
Preoccupa soprattutto la concentrazione di mercurio per la sua tossicità, con livelli esponenziali negli organismi viventi, fino a 12mila volte più alti rispetto a quelli riscontrati nell’ambiente. Colpisce che in pochi anni la contaminazione sia arrivata a questi livelli sugli esseri umani. Alla popolazione, che finalmente vede accolta la sua preoccupazione, è stato chiesto di utilizzare con cautela l’acqua potabile e si diffondono malattie respiratorie, soprattutto tra i più giovani. A loro volta, ulteriori inquinanti provenienti dalla centrale, come diossido di azoto e diossido di zolfo, incrementano l’acidità dei terreni favorendo l’insorgenza di malattie nelle coltivazioni essenziali come riso, caffè e gelso.
A segnalare i rischi è anche un rapporto della Banca mondiale che nel 2020 indicava una crescita di cinque volte delle emissioni di anidride carbonica in Laos, a quattro anni dall’avvio della centrale di Hongsa.
23/10/2023 15:46
30/03/2023 13:48