I 60 anni della Rpc: le Chiese cristiane dicono che il Partito non è Dio
Roma (AsiaNews) – In occasione del 1° ottobre, a 60 anni della fondazione della Repubblica popolare cinese, le chiese cristiane sono “invitate” a esporre la bandiera rossa davanti all’altare, come segno di gratitudine per il contributo del Partito all’armonia fra le religioni.
Molti giovani sono entusiasti di questo legame fra fede e patriottismo. Ma i vecchi che ricordano la persecuzione di questi 60 anni, sono più freddi e realisti: loro stessi ricordano l’entusiasmo per la nuova repubblica, trasformatosi in poco tempo in un incubo che dura ancora oggi. Ma proprio la loro persecuzione è stata una profezia. Quanto da essi subito, l’hanno poi subito i “nemici” di Mao, i democratici “nemici” di Deng; i giovani di Tiananmen; i contadini, gli operai e i dissidenti attuali
Si può affermare che proprio le vittime della persecuzione religiosa hanno preparato la crescita della società civile che oggi chiede il rispetto dei diritti umani.
La persecuzione contro cattolici, protestanti e le altre religioni è avvenuta subito all’indomani della proclamazione della Rpc. Fin dall’inizio[1] , infatti, il maoismo si propone in modo programmatico di distruggere ogni religione come superstizione, o assorbirla come strumento di governo, controllata da organizzazioni alle dipendenze del Partito. Così, da subito, personalità delle Chiese che lavoravano per il popolo – e che all’inizio avevano perfino guardato con simpatia l’arrivo dei comunisti – si trovano a resistere alla divinizzazione e all’assolutismo del potere, salvaguardando la libertà della propria coscienza.
La prima resistenza alla supremazia del Partito è stata quella di coloro che non hanno accettato di sottomettere la fede alle voglie del Partito, ma sono rimasti devoti a un Figlio di Dio superiore al “dio” Mao. Fra questi vale la pena ricordare la grande testimonianza offerta da vescovi come Ignazio Gong Pinmei di Shanghai (v. foto), Domenico Tang Yiming di Guangzhou, Giuseppe Fan Xueyan di Baoding. Tutti loro hanno passato decine di anni nei campi di lavoro forzato. L’ultimo è morto sotto le torture nel 1992.
Con la Rivoluzione Culturale (1966-1976) si compie l’opera di distruzione: monasteri svuotati e distrutti; chiese trasformate in fabbriche o magazzini; vescovi, preti, fedeli uccisi o mandati ai lavori forzati. Dal ’66 al ’76 tutta la Chiesa cinese, ufficiale e non ufficiale, è una chiesa di martiri. Il Partito proclama che le religioni sono ormai “abolite”.
Alla fine degli anni ’70, con le politiche liberali di Deng Xiaoping, e per migliorare l’immagine della Cina all’estero, alcune chiese vengono riaperte e molti preti e vescovi tornano liberi dalla prigione e dal lager. Ma ancora una volta si pone per loro una scelta: o accettare uno stretto controllo statale della liturgia e della pastorale, o svolgere le proprie attività in modo sotterraneo, di nascosto. Per sfuggire al controllo, molti di essi costituiscono strutture parallele a quelle della chiesa ufficiale: abitazioni usate come chiese, seminari, cappelle.
Tutte queste strutture e attività, già proibite ufficialmente nell’85, vengono categoricamente condannate come illegali nel 1994, quando il governo pubblica i cosiddetti Regolamenti per le religioni, a firma dell’allora Primo Ministro Li Peng, il “macellaio di Tiananmen”. I Regolamenti obbligano tutte le comunità religiose a registrarsi presso l’Ufficio affari religiosi, che controlla i luoghi di culto, i preti che officiano, i fedeli, i tempi delle liturgie, le vocazioni, i rettori di seminario, i professori, le risorse finanziarie, i rapporti con fedeli stranieri.
Da allora, in molte regioni, la Cina lancia una campagna per eliminare tutte le comunità sotterranee o assorbirle nell’Associazione patriottica, l’organizzazione che vuole edificare una Chiesa indipendente dal papa. La resistenza dei cattolici (e protestanti) sotterranei ha generato una violenta persecuzione – la stessa che oggi subiscono contadini, operai e attivisti per i diritti umani – ma ha tenuto viva l’idea che l’uomo ha diritto alla libertà religiosa, che il potere dello Stato non è assoluto.
Ancora oggi è in atto una campagna per eliminare tutte le comunità protestanti sotterranee e le cosiddette chiese domestiche, distruggendo chiese, arrestando i pastori, bastonando i fedeli, proibendo la diffusione di bibbie.
La comunità cattolica non sta meglio. I vescovi ufficiali – circa 70, riconosciuti da Pechino – sono ormai sotto un controllo ferreo perché segretamente riconciliati col papa. I vescovi sotterranei – non riconosciuti – sono tutti (circa 40) agli arresti domiciliari. Vale la pena ricordare che alcuni di loro sono scomparsi da tempo: mons. Giacomo Su Zhimin (diocesi di Baoding, Hebei), 75 anni, arrestato e scomparso dal 1996; mons. Cosma Shi Enxiang (diocesi di Yixian, Hebei), 86 anni, arrestato e scomparso il 13 aprile 2001; mons. Giulio Jia Zhiguo, scomparso per l’ennesima volta il 30 marzo scorso.
Il card. Joseph Zen di Hong Kong ha chiesto a Hu Jintao di liberare tutti i vescovi e sacerdoti prigionieri, proprio in occasione della festa dei 60 anni.
Vale la pena ricordare anche che “grazie” alle persecuzioni comuniste i cattolici sono più che quadruplicati negli ultimi 60 anni. Nel ’49 erano poco più di 3 milioni; oggi, cattolici sotterranei e ufficiali, sempre più riconciliati, sono più di 12 milioni e vi sono circa 100mila nuovi battezzati (adulti) ogni anno.
Un ultimo fatto da mettere in luce è un altro contributo che cristiani, cattolici e protestanti, stanno dando per la crescita della società civile. Tale società, infatti, pone al centro la persona con i suoi diritti inalienabili e non lo Stato (o la supremazia del Partito) che elargisce qualche diritto quando, come vuole e a chi vuole. Tale influenza è avvenuta attraverso alcuni dissidenti - in Cina o in esilio all’estero – che dopo una ricerca religiosa, o l’incontro con comunità cristiane occidentali, sono approdati al cristianesimo. Personalità come Gao Zhisheng, Liu Xiaobo, Han Dongfang, Hu Jia hanno scoperto la fede cristiana come la base del valore assoluto della persona, come la forza della loro dissidenza e della difesa dei diritti umani. Molti di loro sono in carcere. Il Partito reputa questa alleanza fra religione e diritti umani come l’elemento più pericoloso alla sua sopravvivenza. Ma un futuro di pace per la Cina dipende dalla loro opera.
[1] Per questo excursus storico, mi rifaccio al mio “Missione Cina”, Ancora, Milano 2006, pp. 157 – segg.
Foto: Kung Foundation