Hanawon, crocevia di drammi e speranze per i profughi nord-coreani
Per la prima volta in dieci anni apre le porte il centro di accoglienza sud-coreano. Dal 1999 a oggi ha ospitato più di 14mila dissidenti del Nord. Al suo interno, corsi trimestrali per superare i traumi della dittatura comunista e imparare le regole per “sopravvivere” nel Sud. La storia di una rifugiata.
Seoul (AsiaNews/Agenzie) – “Ho pianto a lungo dopo la fuga dalla Corea del Nord, dove ho lasciato mio figlio. Dopo anni, le lacrime si sono asciugate […] ora voglio ricostruirmi una vita in Corea del Sud”. È la testimonianza di una donna di nome Lim, una delle migliaia di profughi nord-coreani che hanno trovato accoglienza nel campo di Hanawon.
Hanawon è un centro allestito dal governo sud-coreano ad Anseong, nella provincia di Gyeonggi, confinante con il Nord. In questi giorni ha celebrato i dieci anni di attività, aprendo per la prima volta le porte al pubblico. Dal 1999 più di 14mila dissidenti hanno completato il programma trimestrale di inserimento nella società sud-coreana. All’inizio esso ospitava circa 150 persone; oggi, fra muri di protezione e misure di sicurezza, ne accoglie fino a 750. Un secondo centro governativo, per 250 dissidenti, è stato avviato a Yangju, nella parte settentrionale della provincia.
Il Ministero sud-coreano dell’unificazione spiega che, nelle 12 settimane di corso, i rifugiati seguono un programma di recupero fisico e psicologico di 50 ore. Altre 135 ore sono dedicate all’inculturazione, per aiutare i nord-coreani a inserirsi in una società moderna, capitalista e competitiva. Ai rifugiati viene infine offerta la possibilità di imparare un mestiere e garantita una somma di denaro di poco superiore ai 2.300 dollari Usa.
A fine luglio anche Lim lascerà il centro di accoglienza di Hanawon; la donna descrive gli anni difficili sotto il regime di Pyongyang e non nasconde paure e incertezze per il futuro. “La vita in Corea del Nord non è mai stata facile – racconta al quotidiano sud-coreano JoongAng Ilbo – ma è peggiorata con la crisi alimentare che ha colpito il Paese negli anni novanta. Mi sono sposata nel 1996 e ho avuto un figlio. Poco dopo mio marito è morto per malattia. Facevo l’operaia in una fabbrica, ma con la nascita del bambino ho lasciato il lavoro. Mi sono arrangiata vendendo prodotti al mercato”.
Il governo del Nord ha cominciato a perseguitarla nel 2003, dopo aver scoperto che la donna aveva visto un film di contrabbando di produzione sud-coreana. Due anni più tardi Lim è fuggita in Cina ed è arrivata in Corea del Sud solo nel febbraio di quest’anno, attraversando nazioni del sud-est asiatico. “Per prima cosa – aggiunge la donna – voglio trovare un lavoro part-time, poi studiare per avere un vero impiego. Mi hanno detto che la Corea del Sud è un posto in cui devi studiare, se vuoi sopravvivere”.
Il sogno è “riabbracciare mio figlio: devo ammettere che ho paura, ma so anche che posso farcela”.
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