Gujarat, Narendra Modi è (di nuovo) chief minister. Aveva favorito i massacri di Godhra
Mumbai (AsiaNews) - Per la terza volta consecutiva, Narendra Modi è chief minister del Gujarat. Il candidato del Bharatiya Janata Party (Bjp, partito nazionalista indù) ha vinto in 118 seggi su 182, contro i 59 conquistati dal Congress di Sonia Gandhi. Una vittoria "prevedibile", secondo p. Cedric Prakash, direttore ad Ahmedabad del centro gesuita per i diritti umani, la giustizia e la pace Prashant, da sempre grande contestatore del leader del Bjp. In effetti, quella di Modi è una figura controversa. Considerato l'uomo delle riforme economiche, che negli ultimi anni hanno reso il Gujarat uno degli Stati più ricchi del Paese, su di lui pesano i massacri del 2002 tra indù e musulmani, dei quali è sempre stato ritenuto responsabile e indagato. E per i quali non ha mai chiesto scusa alle vittime.
Secondo p. Cedric Prakash, direttore ad Ahmedabad del centro gesuita per i diritti umani, la giustizia e la pace Prashant, "ora egli punterà a diventare primo ministro dell'India, ma sarà la fine del Bjp. La politica di Modi si basa sull'esclusione e sulla divisione, ed è puntando su questo che ha vinto di nuovo. Ma l'India è un Paese inclusivo. Modi non sarà il primo ministro dell'India".
Il 27 febbraio 2002 si è consumata la carneficina del Sabarmati Express a Godhra, quando un gruppo di islamici ha aggredito e dato fuoco al treno, a bordo del quale viaggiavo indù di ritorno da Ayodhya, sede di un'antica moschea sequestrata anni addietro dagli indù. L'assalto - in cui morirono 58 persone - ha poi scatenato violenti disordini di matrice interreligiosa in tutto il Gujarat, nei quali la comunità islamica ha pagato il prezzo più alto, con quasi 2mila vittime. Da sempre Modi è accusato di aver cospirato negli scontri, per non aver preso alcun provvedimento per fermarli e non aver istituito alcuna indagine.
Proprio questo suo comportamento ha favorito il polarizzarsi della società gujarati, dove più volte in passato i musulmani hanno denunciato di sentirsi "cittadini di seconda categoria".