Guerra Ucraina: la Federazione russa rischia la disgregazione
I “popoli liberi” sono a favore dell’indipendenza da Mosca. La Russia vista come una costruzione “artificiosa. Spinte maggiori nel Tatarstan e nel Baškortostan. La repressione del governo centrale. Tutto dipenderà dagli esiti del conflitto ucraino.
Mosca (AsiaNews) – Una delle possibili conseguenze della guerra ucraina, soprattutto a causa delle incertezze della Russia sottoposta al contrattacco dell’esercito di Kiev, è la sollevazione dei popoli della Federazione contro Mosca. Lo sottolineano alcuni specialisti interpellati da Idel.Realii. I “popoli liberi” hanno già radunato i propri rappresentanti in esilio diverse volte: la prima a maggio a Varsavia, la seconda a fine luglio a Praga e la terza volta nei giorni scorsi nella città polacca di Danzica.
A queste manifestazioni ha partecipato un gran numero di attivisti e politici che intervengono in favore della secessione dalla Russia, suscitando reazioni molto risentite sui media e nelle dichiarazioni dei dirigenti russi. Il direttore dell’Istituto indipendente delle regioni della Russia, il lituano Andrius Almanis, ha presentato a Danzica il progetto “Naiznanku” (Alla rovescia), spiegando fino a che punto sia reale la minaccia per la Russia di una disgregazione tra le etnie che la compongono.
A suo parere “si tratta di un processo tutt’altro che artificioso, anzi è la Federazione russa a essere un’istituzione artificiosa, e quando si attenua la forza oppressiva del centro, le tendenze centrifughe si avviano quasi in automatico”. Nelle regioni a forte caratterizzazione etnica, dal Caucaso alla Siberia, ma anche nelle regioni del nord europeo e asiatico, l’idea dell’indipendenza è del resto molto radicata da secoli. Lo stesso Almanis sottolinea che tale sviluppo dipende soprattutto dall’eventuale insuccesso russo in Ucraina.
“Anche negli strati più densi di asfalto si creano delle crepe, da cui spuntano dei germogli”, afferma l’attivista lituano, “e ora non si tratta solo di crepe, ma di voragini sempre più ampie”. Tra le regioni e repubbliche “identitarie” spicca senz’altro il Tatarstan, con i vicini e “parenti” del Baškortostan, entrambe nella posizione geografica cruciale della zona uralica, al confine tra Europa e Asia. Ci sono tanti piccoli popoli, soprattutto nelle distese siberiane, che rischiano di scomparire, e ora cercano di ritrovare se stessi nelle scosse di assestamento delle guerre e delle mobilitazioni degli ultimi tempi.
Una delle “frontiere interne” della lotta di liberazione dei popoli è la questione linguistica e culturale, che identifica anche i nuovi leader delle proteste, impegnati nella difesa delle lingue nazionali nei programmi scolastici e universitari. Si tratta di un tema poco conosciuto al di fuori dei confini nazionali e regionali, e i forum che si susseguono hanno anche lo scopo di informare l’opinione pubblica a livello internazionale sulle aspirazioni dei “popoli liberi” della Russia.
Non a caso a fine settembre alla Duma di Mosca sono stati discussi due progetti di legge, per introdurre nuove pene e applicare la definizione di “estremismo” ad ogni forma di diffusione di informazioni, immagini o simboli che “mettano in discussione l’integrità territoriale della Russia”. Le carte geografiche che mostrino in forma separata le regioni sono causa di arresto fino a 15 giorni, e una multa di almeno un milione di rubli (20 mila euro).
Un attivista baškiro, Airat Dilmukhamedov, è stato arrestato in questi giorni per essersi collegato al forum di Danzica, e il suo intervento video è stato considerato “istigazione alla sovversione contro l’integrità della nazione”. Il tribunale di Ufa ha decretato per l’organizzazione nazionalista “Baškort” la definizione di estremismo, proibendo le sue attività su tutto il territorio della repubblica. Molti altri attivisti ed esponenti delle culture locali vengono perseguitati, come la scrittrice tatara Fauzja Bajramova, il pubblicista della regione di Komi (nord della Russia europea) Nikolaj Udoratin o il presidente dell’associazione dei popoli ugro-finnici Petr Tultaev, e molti altri.
Il fronte interno si allarga, anche dove non avvengono episodi clamorosi di protesta o non vi sono leader molto conosciuti, e potrebbe esplodere in modo ancora più fragoroso delle bombe sul ponte di Kerč, segnale della fragilità della Russia in guerra contro i nemici esterni, ma anche contro se stessa.
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