Governo ad interim a Damasco: 23 ministri e una donna, la cattolica Hind Kabawat
L’annuncio nel fine settimana del presidente al-Sharaa, che conferma l’impegno a costruire “un nuovo Stato”. Dovrebbe restare in carica cinque anni e traghettare il Paese alla scrittura della nuova Costituzione e alle prime elezioni politiche post-Assad. La bocciatura dei curdi che denunciano il mancato (reale) coinvolgimento delle minoranze.
Damasco (AsiaNews) - Nel nuovo governo ad interim siriano, presentato nel fine settimana dal presidente Ahmed al-Sharaa e composto da 23 ministri, vi è anche una cristiana, unica donna a far parte dell’esecutivo chiamato a rilanciare un Paese segnato da quasi 14 anni di guerre e violenze: è Hind Kabawat, già componente del Comitato preposto ai lavori per la nuova Costituzione e attiva da tempo nel dialogo interreligioso e nell’emancipazione femminile, cui è stato assegnato il dicastero del Lavoro e degli affari sociali. Nella nuova leadership a Damasco manca la figura del primo ministro, ma prevede la presenza di drusi e alawiti fra le minoranze etnico-religiose e veterani delle rivolte contro l’ex regime di Bashar al-Assad; tuttavia, il nuovo governo registra la bocciatura dei curdi, che rappresentano la maggioranza nel nord-est del Paese.
Secondo le intenzioni del presidente ad interim al-Sharaa, l’esecutivo dovrebbe restare in carica cinque anni, tempo previsto per la scrittura della nuova Costituzione e lo svolgimento delle prime elezioni politiche. Nel discorso di presentazione ha parlato di “nascita di una nuova fase nel nostro processo nazionale” in una prospettiva “comune” di costruzione di “un nuovo Stato”. “Cercheremo di riabilitare l’industria, proteggere i prodotti nazionali e creare un ambiente incoraggiante per gli investimenti in tutti i settori. Ci impegneremo - ha aggiunto - anche a riformare la situazione monetaria, rafforzare la valuta siriana e prevenire la manipolazione”.
I ministri sono in maggioranza musulmani sunniti, a immagine della demografia del Paese un tempo governato dal clan Assad proveniente dalla minoranza musulmana alawita. Analisti ed esperti concordano nel sottolineare che le posizioni chiave sono occupate da “compagni di guerra” del presidente, già membri del “governo di salvezza a Idlib”, provincia del nord roccaforte dei ribelli durante la guerra civile (2011-2024). Fra questi vi sono Asaad al-Shaibani, che mantiene il suo posto a capo della diplomazia, e Mourhaf Abou Qasra, che rimane alla Difesa dopo aver comandato le operazioni che hanno rovesciato il vecchio regime. A quest’ultimo spetta il gravoso compito di ricostruire l’esercito siriano. Anas Khattab, ex jihadista che dirigeva l’Intelligence generale, sarà a capo degli Interni e Mouzhar al-Waiss alla Giustizia. Quest’ultimo ha sostituito Shadi Mohammad al-Waisi, di cui gruppi attivisti avevano chiesto il licenziamento dopo la diffusione di vecchi video che lo collegavano all’esecuzione di due donne accusate di prostituzione a Idlib.
Yarub Badr, un membro della comunità religiosa alawita a cui appartiene Assad, è stato nominato ministro dei trasporti, mentre il druso Amgad Badr e la cristiana Hind Kabawat saranno a capo del dicastero dell’Agricoltura e del Lavoro e affari sociali. L’unica donna presente nell’esecutivo è da tempo una voce critica del vecchio regime degli Assad, oltre ad aver operato a lungo per il dialogo e l’armonia confessionale. Già parte del Comitato dei sette voluto da al-Sharaa, in un’intervista ad AsiaNews pubblicata a inizio mese ha detto di ispirarsi alla figura di p. Paolo dall’Oglio, ai suoi ideali di “giustizia”. Cattolica e madre di due figli, Kabawat ha sottolineato più volte l’obiettivo di garantire “inclusione e diversità” per la nuova Siria, che “non è una cosa sola: cristiani, musulmani, ogni gruppo etnico deve essere parte del processo”. E per il futuro ha auspicato una “Siria per tutti i siriani” che si ispira al gesuita italiano capace di “costruire ponti, non muri”.
In realtà il cammino è ancora lungo e difficoltoso, come dimostrano le recenti violenze settarie contro gli alawiti (identificati a torto o ragione col precedente regime) nelle roccaforti di Latakia e Tartous, con un bilancio di oltre mille morti. Sharaa ha tentato di rassicurare sia i siriani che gli osservatori stranieri sul fatto che il suo governo non perseguiterà le minoranze, ma il suo passato come ex leader del ramo di al-Qaeda in Siria alimenta una parte di scetticismo. Vi sono inoltre perplessità circa l’imponente piano di privatizzazione di industrie statali ed enti pubblici e sui licenziamenti promessi dal governo. Inoltre, il blocco occidentale ha sottolineato di recente che non ci sarà “carta bianca” sull’operato della nuova leadership e un allentamento delle sanzioni - fondamentale per risollevare il Paese - sarà legato alle decisioni prese. In un recente rapporto le Nazioni Uniti hanno confermato che il 90% dei siriani vive in povertà e metà delle infrastrutture del Paese sono state distrutte o rese disfunzionali. E ancora, il 75% della popolazione dipende da una qualche forma di aiuto umanitario, rispetto a solo al 5% nel primo anno del conflitto.
Infine, fra le voci critiche del futuro governo ad interim vi è quella dei curdi: ieri l’amministrazione del nord-est ha bocciato i nomi e le scelte, sottolineando che non è riuscito nell’intento di coinvolgere le minoranze del Paese. In una dichiarazione, l’Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale (Aanes) ha detto di “non considerarsi vincolata all’attuazione o all’applicazione delle decisioni prese da questo governo”. “Qualsiasi esecutivo che non rifletta la diversità e la pluralità del Paese non può garantire una corretta governance della Siria”. Sebbene includa un curdo - il ministro dell’Istruzione Mohammad Turko - non coinvolge alcun rappresentante Aanes, che ha controllato ampie zone della Siria per più di un decennio.
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