Gli uzbeki accusati di organizzare le violenze etniche di cui sono stati vittime
Tashkent (AsiaNews/Agenzie) – Sono colpevoli di “incitamento alla rivolta” e “all’odio religioso e razziale”, gli etnici uzbeki che la notte tra il 10 e l’11 giugno allertarono i loro quartieri del pericolo di aggressioni. Le indagini sulle violenze dello scorso giugno sembrano accertare soprattutto le responsabilità degli etnici uzbeki, che ne sono stati le principali vittime. Ma sono in molti a dubitare dell'equilibrio delle inchieste. Intanto non parte la Commissione internazionale d’inchiesta.
Quando iniziarono le aggressioni contro i quartieri uzbeki, gli altoparlanti di molte moschee in piena notte fecero l’azan, la chiamata dei fedeli islamici alla preghiera. L’agenzia Ferghana riporta molte condanne di chi avvertì i concittadini, per la convinzione che questo sia stato un segnale per la rivolta, già organizzata.
Nel distretto di Kara-Suu sono stati arrestati Zhamalidin Isakov e Abdymukhtar Shukurov che, secondo l’accusa, nel villaggio rurale di Nariman, quella notte con altoparlanti sollecitarono la popolazione a “non dormire, ma prepararsi a combattere”. Identica condanna per Nurmukhammad Matraimov e Yuldoshbay Kyrgyzbaev nella zona di Kashkar-Kyshtak, che pure svegliarono i residenti con l’altoparlante della moschea.
Il giudice li ha tutti condannati a 4 anni di carcere per “chiamata alla rivolta di massa” e “istigazione all’odio razziale o religioso”.
Dmitry Kabak, capo della fondazione Open Position, osserva che, al contrario, i muezzin volevano avvertire tutti dell’incombente minaccia e che a Osh la chiamata avvenne dopo che già erano risuonati colpi d’arma da fuoco. Circostanza confermata da molte persone sentite da media e agenzie.
Sempre il tribunale del distretto di Kara-Suu ha condannata a 3 anni di carcere Uktomzhan Akhmatzhanov e Islamzhan Khusanov, abitanti a Kashkar-Kyshtak, per avere scritto “sos” in cortili e su case private (nella foto) il 12 giugno. Secondo i giudici, anche questa scritta ha chiamato al conflitto inter-etnico ed è ritenuta un segno di riconoscimento per i soldati dell’Uzbekistan che sarebbero dovuti intervenire in aiuto degli etnici uzbeki. Intervento, peraltro che non c’è mai stato e che nessuno ha indicato come programmato.
Il tribunale dice che gli imputati hanno confessato le colpe. Ma gli avvocati denunciano che questi sono stati torturati in carcere. Spesso hanno potuto vedere l’avvocato solo dopo 3-4 giorni, quando avevano già confessato. Con accuse analoghe, molti etnici uzbeki hanno avuto condanne anche a molti anni di carcere o all’ergastolo.
Fonti di stampa locali indicano che quasi tutti gli autori delle indagini sono etnici kirghisi e che gli arrestati sono soprattutto uzbeki. Anche l'organizzazione per i diritti umani Human Rigths Watch, settimane fa, ha ammonito che nel Kirghizistan meridionale le indagini sulle responsabilità per le violenze di giugno finora non si sono rivolte verso etnici kirghisi, riportando fonti, dati e testimonianze precise.
In questa situazione, il 20 settembre il presidente uzbeko Islam Karimov ha sollecitato un’indagine internazionale. Il presidente Usa Barack Obama di recente ha chiesto alla presidentessa kirghisa Rosa Otunbaeva di approvare l’inizio dei lavori della Commissione internazionale di inchiesta.
Intanto Bishkek non appare soprattutto interessata a intervenire nel meridione, piuttosto a consolidare la propria posizione nei confronti dell’ex presidente Askar Akaev, accusato di avere falsificato i dati di elezioni e referendum nel 2009 e 2007.