Gli espropri coatti, prima causa di proteste sociali in Cina
E’ l’esito di un’indagine ufficiale dell’Ufficio petizioni di Pechino. La ricerca suggerisce di dare una nuova casa a chi viene cacciato e rendere “trasparenti” i processi decisionali. Ma il problema resta la possibilità di denunciare i corrotti e chiedere tutela dei diritti.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La demolizione forzata di abitazioni è stata la prima causa di conflitti sociali e proteste di massa nel 2010. Lo dice il quotidiano ufficiale China Daily, che riporta un’indagine del Centro di ricerca per le contraddizioni sociali, coadiuvato da operatori privati.
Gli intervistati hanno indicato che la demolizione forzata di abitazioni ha da sola un’importanza percentuale ben maggiore di tutte le altre cause insieme, come ragione di conflitti e proteste di massa. Il Centro opera sotto il controllo dell’Ufficio per le lettere e le chiamate di Pechino, che si occupa delle moltissime petizioni presentate dagli scontenti di tutto il Paese alle autorità superiori.
Circa il 70% degli intervistati ha aggiunto che i problemi sono anche collegati all’entità e alla dazione degli indennizzi e all’allontanamento coattivo dei residenti. Per molti, le demolizioni coatte hanno causato danni nell’intera vita personale e familiare: luogo di abitazione, istruzione, sanità, sicurezza sociale. Inoltre circa il 36% del campione ha detto che gli indennizzi ricevuti sono “molto inferiori” al valore di mercato e anche altri hanno li hanno indicati come insufficienti a coprire il valore dell’immobile e gli altri disagi (come il trasloco). Circa il 10% non ha ricevuto per intero le somme promesse. In ogni caso non bastano per procurarsi un’abitazione equivalente.
Il rapporto suggerisce che il governo potrebbe eliminare una grave causa di proteste provvedendo a dare nuove abitazioni a chi caccia, invece di un indennizzo economico, come pure gli interessati dovrebbero potere tutelare i propri diritti “nel rispetto della legge attraverso la negoziazione”.
Altro problema indicato è la mancanza di “trasparenza” circa le modalità di scelta delle case e la liquidazione e il pagamento delle indennità.
Esperti osservano che, anche se il campione selezionato non appare del tutto obiettivo (sono state sentite 412 persone che sono state o dovrebbero essere mandate via di casa), la ricerca identifica ragioni importanti delle proteste dei cittadini, privi di altre vie per ottenere ascolto e giustizia.
Il malcontento è talmente diffuso che a maggio Qian Mingi ha fatto esplodere tre bombe artigianali in uffici pubblici a Fuzhou, uccidendo due persone e morendo egli stesso, per protestare contro due successivi espropri coatti che gli avevano distrutto la vita. Su internet il suo gesto è stato da molti indicato come del tutto condivisibile.
Secondo esperti, in Cina nel 2010 ci sono state oltre 180mila proteste di massa, soprattutto per motivi economici quali la diffusa corruzione, gli espropri di terre e il continuo aumento dei prezzi dei generi alimentari. La popolazione, priva di vie “legali” per difendere i propri diritti anche economici, è sempre più pronta a scendere in piazza per pretendere giustizia e attenzione. Molti analisti ritengono che questo costringerà le autorità a riforme democratiche, ma da febbraio sono aumentati repressione e controllo di polizia, per timore che scoppino proteste tipo Rivoluzione dei gelsomini.
A molti appare davvero lontano quanto ha detto ieri il premier Wen Jiabao, in visita a Londra, ospite della Royal Society: “Non ci sarà socialismo reale se non c’è una reale democrazia, e non ci sarà protezione dei diritti economici e politici se non c’è effettiva libertà”. Wen aveva suscitato diffuse speranze nei discorsi di alcuni mesi fa, apparsi un’apertura a una maggiore democrazia.
Gli intervistati hanno indicato che la demolizione forzata di abitazioni ha da sola un’importanza percentuale ben maggiore di tutte le altre cause insieme, come ragione di conflitti e proteste di massa. Il Centro opera sotto il controllo dell’Ufficio per le lettere e le chiamate di Pechino, che si occupa delle moltissime petizioni presentate dagli scontenti di tutto il Paese alle autorità superiori.
Circa il 70% degli intervistati ha aggiunto che i problemi sono anche collegati all’entità e alla dazione degli indennizzi e all’allontanamento coattivo dei residenti. Per molti, le demolizioni coatte hanno causato danni nell’intera vita personale e familiare: luogo di abitazione, istruzione, sanità, sicurezza sociale. Inoltre circa il 36% del campione ha detto che gli indennizzi ricevuti sono “molto inferiori” al valore di mercato e anche altri hanno li hanno indicati come insufficienti a coprire il valore dell’immobile e gli altri disagi (come il trasloco). Circa il 10% non ha ricevuto per intero le somme promesse. In ogni caso non bastano per procurarsi un’abitazione equivalente.
Il rapporto suggerisce che il governo potrebbe eliminare una grave causa di proteste provvedendo a dare nuove abitazioni a chi caccia, invece di un indennizzo economico, come pure gli interessati dovrebbero potere tutelare i propri diritti “nel rispetto della legge attraverso la negoziazione”.
Altro problema indicato è la mancanza di “trasparenza” circa le modalità di scelta delle case e la liquidazione e il pagamento delle indennità.
Esperti osservano che, anche se il campione selezionato non appare del tutto obiettivo (sono state sentite 412 persone che sono state o dovrebbero essere mandate via di casa), la ricerca identifica ragioni importanti delle proteste dei cittadini, privi di altre vie per ottenere ascolto e giustizia.
Il malcontento è talmente diffuso che a maggio Qian Mingi ha fatto esplodere tre bombe artigianali in uffici pubblici a Fuzhou, uccidendo due persone e morendo egli stesso, per protestare contro due successivi espropri coatti che gli avevano distrutto la vita. Su internet il suo gesto è stato da molti indicato come del tutto condivisibile.
Secondo esperti, in Cina nel 2010 ci sono state oltre 180mila proteste di massa, soprattutto per motivi economici quali la diffusa corruzione, gli espropri di terre e il continuo aumento dei prezzi dei generi alimentari. La popolazione, priva di vie “legali” per difendere i propri diritti anche economici, è sempre più pronta a scendere in piazza per pretendere giustizia e attenzione. Molti analisti ritengono che questo costringerà le autorità a riforme democratiche, ma da febbraio sono aumentati repressione e controllo di polizia, per timore che scoppino proteste tipo Rivoluzione dei gelsomini.
A molti appare davvero lontano quanto ha detto ieri il premier Wen Jiabao, in visita a Londra, ospite della Royal Society: “Non ci sarà socialismo reale se non c’è una reale democrazia, e non ci sarà protezione dei diritti economici e politici se non c’è effettiva libertà”. Wen aveva suscitato diffuse speranze nei discorsi di alcuni mesi fa, apparsi un’apertura a una maggiore democrazia.
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