Gli aiuti in Pakistan giungono con lentezza
di Fareed Khan
L’Onu teme una “seconda ondata di morti” a causa delle malattie: tifo, epatite, colera, malaria. Mancano cibo e acqua. Solo un milione di sfollati – su 8 – ha ricevuto finora gli aiuti. La comunità internazionale poco generosa. Occorrono anni per ricostruire il Paese. L’agricoltura – il 20% del Pil – è azzerata. Crescono i prezzi dei generi alimentari e vi sono segni di rivolta, tutti favorevoli ai partiti islamici di opposizione.
Islamabad (AsiaNews/Agenzie) – Gli aiuti per i 20 milioni di vittime dell’alluvione cominciano a giungere in Pakistan, ma la comunità internazionale sembra più lenta nel raccogliere fondi. Anche la distribuzione degli aiuti lascia intere aree ancora scoperte.
In questi giorni il tempo sembra dare un po’ di respiro nel Punjab (centro-est), dopo tre settimane di intense piogge monsoniche che hanno trasformato in palude un quinto della superficie del Paese e hanno ucciso almeno 1400 persone. La situazione è però grave nel Sindh, a sud del fiume Indo, dove le acque si ingrossano sempre più e c’è il timore di esondazioni.
La crisi rimane alta anche nel Punjiab, dove sono state distrutte circa 900 mila case e l’acqua ha allagato intere regioni portando via riserve, sementi, coltivazioni e lasciando la popolazione senza cibo, né acqua da bere.
L’Onu teme che dopo le morti per annegamento, vi sarà ora “una seconda ondata di morti”. Almeno
otto milioni di persone (la metà costituita da bambini) rischia di morire di malattie legate all’acqua stagnante e non potabile, fra cui tifo, epatite, colera, malaria, oltre alla fame che attanaglia molti abitanti che, perduta la loro casa non hanno riparo, né tende. Solo un milione di alluvionati hanno ricevuto finora qualche aiuto.
Aiuti troppo lenti
La scorsa settimana le Nazioni Unite hanno lanciato un appello per 460 milioni di dollari al fine di garantire l’emergenza nei primi 90 giorni. Finora si è raggiunto solo il 54,4% del totale e parte di questo sono solo promesse. Per quest’oggi è previsto un incontro di emergenza al Palazzo di vetro per spingere il mondo a una maggiore e presta generosità.
La Banca mondiale ha garantito 900 milioni di dollari di prestito; l’Unione europea ha aumentato fino a 70 milioni di euro le donazioni; l’Asia Development Bank ha offerto oggi 2 miliardi di dollari in prestito; l’Islamic Development Bank 11, 2 milioni in donazioni.
Vi sono poi le donazioni di Paesi singoli: Usa 90 milioni di dollari; Gran Bretagna 48,5 milioni; Australia 21,6 milioni; Arabia saudita 20 milioni; Giappone 10 milioni; Turchia 10 milioni; Francia 1 milione, pari al contributo dell’Afghanistan. L'Italia ha stanziato un milione di euro per affrontare l'emergenza e un volo umanitario.
Pur con qualche eccezione, nel caso Pakistan, la comunità internazionale sembra più lenta e meno generosa rispetto ad altre emergenze, come quella del terremoto di Haiti. Eppure il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, visitando le zone alluvionate del Pakistan alcuni giorni fa, col “cuore strappato” ha dichiarato che “in passato ho visitato scene di molti altri disastri naturali nel mondo, ma nessuno è come questo”. Anche Benedetto XVI ha lanciato ieri un appello perché la comunità internazionale offra “solidarietà” e “concreto sostegno” alle “care popolazioni del Pakistan”.
Secondo Eric Schwartz, vice-segretario di stato Usa per i rifugiati, la lentezza nel raccogliere aiuti è dovuta soprattutto alla crisi economica che impedisce ai governi di essere generosi. Vi è anche un altro aspetto: il Pakistan non gode di una “buona immagine” nel mondo dei media, essendo legato spesso a questioni di terrorismo e di violenza islamica. In più, la classe politica pakistana è nota per la sua profonda corruzione, come pure gli organismi militari, in prima linea nella distribuzione degli aiuti.
Distrutte agricoltura ed economia
Ma forse la causa più importante della lentezza sta nel non aver compreso l’ampiezza del disastro. Esso ha colpito non solo la popolazione, ma anche le infrastrutture: centrali elettriche, strade, case, coltivazioni e allevamenti. Zamir Akram, ambasciatore pakistano all’Onu di Ginevra, afferma che la ricostruzione nel solo nord del Paese potrà costare 2,5 miliardi di dollari.
L’agricoltura – il 20% del Pil pakistano - è stata spazzata via: i raccolti di cotone, canna da zucchero, mais, verdure sono perduti e i campi sono dilavati. Secondo il presidente Ali Zardari, criticato per la sua assenza in questo drammatico frangente, ci vorranno almeno 2 anni per ridare ai contadini semi, fertilizzanti, cibo e nuovi raccolti. Secondo esperti ne occorreranno almeno cinque e 15 miliardi di dollari.
Intanto i prezzi dei generi alimentari salgono e vi è mancanza di combustibili, portando scontentezza e rivolte fra i colpiti. Centinaia di sfollati, senza riparo, hanno bloccato la strada da Islamabad a Peshawar, reclamando aiuti. Due ministri britannici in visita nelle zone del disastro, sono stati evacuati con l’elicottero, essendo stati bloccati da manifestanti.
Nella situazione sempre più incandescente, oppositori del governo e partiti islamici mostrano la loro efficacia, criticando le autorità. La al-Khidmat Foundation, organizzazione legata al Jamaat-e-Islami, il più grande partito estremista religioso, ha mobilitato 16500 volontari per distribuire cibo e medicinali a migliaia di sopravvissuti all’alluvione.
Shah Mehmood Qureshi, ministro degli esteri, ha avvertito che il disastro potrebbe facilitare la diffusione dell’estremismo islamico e di al-Qaeda. Da tempo il Pakistan è in prima linea nella lotta contro al Qaeda nel nord-ovest del Paese, al confine con l’Afghanistan.
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