Gli afghani guardano con indifferenza la morte dei soldati
Kabul (AsiaNews) – “In un Paese dove un bambino su 5 non arriva ai cinque anni di età, la gente è piuttosto indifferente alle morti dei soldati italiani, o britannici, o statunitensi. La popolazione non applaude queste morti, ma ormai le vive come normale routine”. Fonti di AsiaNews raccontano la drammatica situazione quotidiana dell’Afghanistan, mentre in Italia è arrivato il feretro di Alessandro Di Lisio (nella foto), il parà ucciso da un ordigno il 14 giugno, a circa 50 chilometri da Farah.
Il corpo di Di Lisio è stato accolto ieri all’aeroporto di Ciampino (Roma) con i massimi onori, con il picchetto d’onore schierato alla presenza di alte autorità civili e militari. Oggi pomeriggio ci saranno i funerali solenni nel Duomo di Campobasso, sua zona d’origine.
Ma l’aspetto forse peggiore delle morti dei soldati occidentali, è che la popolazione afgana le vive con indifferenza, come qualcosa che non la riguarda. Fonti di AsiaNews spiegano che “tutti sanno che nessuno può vincere questa guerra, né l’esercito straniero né gli ‘insurgents’, coloro che insorgono come la gente chiama ora i talebani. Ma i talebani hanno il vantaggio del tempo che passa, perché un giorno gli stranieri si stancheranno, andranno via, mentre loro no. Sanno che gli stranieri dovranno almeno scendere a un compromesso, e forse i più intransigenti tra loro nemmeno vorranno accettarlo”.
“Dopo l’intervento degli Stati Uniti nel 2001 – prosegue la fonte, che chiede l’anonimato – la gente era pronta a un cambiamento. Per anni lo ha sperato, lo ha atteso, era disposta a rinunciare alla faide, alle fazioni e alle tribù. Ma ora non ci crede più, non crede che il Paese possa risorgere e competere con gli altri Paesi”. Le elezioni presidenziali di 5 anni fa sono state seguite con grande interesse ed entusiasmo. Le nuove elezioni saranno ad agosto ma se ne parla molto poco. Tutti dicono che vincerà il presidente uscente, Ahmid Karzai. Ma ne parlano senza interesse, come se la cosa non li riguardasse”. “Del resto, ora si va di più a scuola ma il livello dell’istruzione è basso; gli insegnanti sono pagati poco e non si aggiornano; nel sud molte scuole sono state bruciate. Le bambine possono andare a scuola, ma per la donna non è cambiato quasi niente nella società. Ci sono centinaia di cliniche private aperte senza alcun controllo: basti pensare che nella sola Kabul ci sono circa 200 cliniche private e nessuno si preoccupa di controllarne la qualità. Nel meridione, zona di guerra, ci sono pochi medici. In questo periodo è in corso un imponente attacco alleato nel provincia di Helmand ma questo significa anche che nessun medico rischia di andarci e i bambini non possono essere vaccinati.
Gli aiuti degli Stati esteri hanno raggiunto solo in minima parte gli obiettivi e la città rimane carente dei servizi essenziali: viabilità, sistema fognario e sanitario, sistema elettrico. Qualche risultato hanno raggiunto le molte associazioni private, ma sono attive soprattutto nelle grandi città, perché andare nelle campagne non è sicuro.
Ma il problema è anche la diffusa povertà, come testimonia il dott. Alberto Cairo, funzionario della Croce Rossa in Afghanistan dal 1992. “I bisogni della popolazione – egli dice - sono enormi: il pane per oggi, il pane per domani, il lavoro. Se qualcuno è malato è un altro grave problema. Con la crisi economica globale sono anche diminuiti i fondi donati dai Paesi esteri. Ad esempio l’Italia quest’anno ha destinato alla Croce Rossa, in tutto il mondo, circa la metà dei soldi del 2008”.
“L’errore degli Stati occidentali è stato di scegliere la guerra, una soluzione di forza, invece che lavorare anzitutto con la società”.
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