Giustizia per il sindacalista ucciso nelle carceri indiane

di Melani Manel Perera

É l’appello del World Forum of Fisher People. A sei mesi dall’assassinio di Canisius Fernando, presidente della United Fisher Association, la famiglia in Sri Lanka aspetta ancora i risarcimenti promessi dalle autorità e intanto vive in miseria senza prospettive future.

Colombo (AsiaNews) – Il World Forum of Fisher People (WFFP) chiede ai governi di India e Sri Lanka giustizia immediata per la famiglia del sindacalista cattolico ucciso a ottobre 2007 nelle carceri indiane. “Sono ormai sei mesi dall’assassinio di Warnakulasuriyage Canisius Fernando – denuncia il Forum in un comunicato stampa diffuso ieri – e ancora le autorità non hanno fatto sapere nulla”. A firmare la dichiarazione è il segretario generale del WFFP, Herman Kumara, che ricorda al governo di Colombo di aver all’epoca promesso risarcimenti alla famiglia della vittima, ancora mai arrivati.

Warnakulasuriyage Canisius Fernando, presidente della United Fisher Association a Negombo, è stato ucciso da una guardia carceraria lo scorso 5 ottobre nella prigione centrale di Madurai, Tamil Nadu, India del sud. Qui si era recato ad incontrare tre pescatori cingalesi, arrestati per essere entrati nelle acque territoriali indiane senza permesso. Le autorità indiane sostengono di aver sospeso il secondino che ha sparato al sindacalista e di aver aperto delle indagini.

Ad AsiaNews la vedova del sindacalista ucciso, Nirmala Fernando, racconta che di tutte le promesse fatte dalle autorità davanti al cadavere del marito “sono rimaste solo le parole”: Canisius con il suo lavoro era l’unica fonte di sostentamento per lei e i loro due figli, ed ora sembra non vedere più un futuro.

Nel suo comunicato il WFFP ribadisce la richiesta a India e Sri Lanka di un sostegno economico per la vedova Fernando, di ratificare la convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) sulla pesca e garantire così la protezione necessaria perché i pescatori possano svolgere in condizioni adeguate il loro lavoro, considerato dall’Ilo stessa come il “più pericoloso del mondo”.