Giudici del Tamil Nadu: diritti ai fuori casta, ma solo se indù
Delhi (AsiaNews) L'Alta Corte di Madras, capitale dello Stato meridionale del Tamil Nadu, ha emesso una sentenza che permette ai fuori casta cristiani che si "riconvertono" all'induismo di accedere ai posti di lavoro riservati per le caste inferiori. Lo stesso diritto non è applicabile per i fuori casta che rimangono fedeli al cristianesimo.
Una sezione della Corte, guidata dal giudice Rao, ha infatti accettato il ricorso presentato da R. Shankar, dalit nato in una famiglia cristiana, cui era stato negato un incarico comunale in quanto fuori casta. Shankar ha fatto presente ai giudici di essere nato cristiano, ma ha sottolineato che nel 1983 "è tornato all'induismo".
Dopo aver vinto il concorso per l'incarico comunale, viene a sapere che non può iniziare a lavorare perché "nato in una famiglia di fuori casta cristiani", fa causa agli esaminatori puntando tutto sulla sua "ritrovata fede" e vince.
Secondo il p. Babu Joseph, portavoce della Conferenza episcopale indiana, la sentenza fa sorgere una domanda immediata: "Perché 2 persone che hanno lo stesso status sociale vengono discriminate in base al loro status religioso, se si parla di diritti?".
Il sacerdote spiega che "questa decisione rinforza il nostro impegno, teso ad ottenere per i dalit cristiani lo stesso trattamento riservato a quelli di altre religioni. La discriminazione non può esistere in una nazione democratica come l'India, che deve avere un approccio corretto e non di parte quando si parla di diritti dei suoi cittadini".
Per John Dayal, presidente dell'All India Catholic Council ed attivista da anni in prima linea per la causa dei dalit cristiani, "la decisione della Corte riafferma una verità scomoda: in India manca del tutto la comprensione del problema delle caste, che trascende il piano religioso". L'attivista sottolinea che "le caste sono una malattia sociale" e denuncia: "Buddisti e sikh appartengono a religioni molto differenti dall'induismo, ma non vivono queste discriminazioni grazie al patronato politico di alcuni loro adepti. I cristiani sono soli".
In conclusione, Dayal ricorda che "sentenze di questo tipo tendono anche a voler essere un avvertimento ed una punizione per coloro che da indù divengono cristiani: convertirsi significa perdere lavoro e protezione sociale".