Giro di vite in Tibet: centinaia di arresti e monaci reclusi nei monasteri
Dharamsala (AsiaNews) – Nuovo giro di vite delle autorità cinesi in Tibet con centinaia di arresti e inasprimento della già severe misure di sicurezza, in vista dell’anniversario delle proteste esplose a Lhasa il 10 marzo 2008. Intervista esclusiva di AsiaNews a Samdhong Rinpoche, premier del governo tibetano in esilio, dopo che le autorità cinesi hanno chiarito che sceglieranno loro il nuovo Dalai Lama.
Il Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia (Tchrd) denuncia che dal 2 marzo, inizio di questa nuova “campagna per la sicurezza”, sono stati arrestati circa 500 tibetani solo nella città di Lhasa e c’è sorveglianza intorno ai 3 principali monasteri della capitale (Drepung, Gaden e Sera) con divieto ai monaci di uscire senza un apposito permesso delle autorità.
Dal 1° marzo è stato anche istituito un nuovo “corpo di sicurezza” che collaborerà con la polizia “per mantenere l’ordine sociale, attraverso ispezioni e fermo dei sospetti e arresto di chi è privo dei 3 documenti previsti: carta d’identità, registrazione della residenza (hukou in cinese) e permesso temporaneo di soggiorno.” I casi sospetti saranno segnalati alla polizia.
In questo modo viene realizzato un sistema capillare di controllo per chiunque si trovi a Lhasa.
Il Tchrd denuncia che così vengono violati diritti elementari della persona, come la libertà di movimento, e si vuole in realtà intimidire la popolazione, così da impedire qualunque forma di dissenso e commemorazione in vista del 2° anniversario delle proteste di piazza del marzo 2008, stroncate nel sangue dall’esercito, alle quali sono seguite centinaia, forse migliaia di arresti e di condanne a molti anni di carcere.
Il professore Rinpoche ricorda ad AsiaNews che “sono 51 anni che siamo in esilio [dopo che il Dalai Lama e i più stretti seguaci dovettero fuggire all’estero per paura della rappresaglia cinese per un tentativo di riacquistare l’indipendenza del Tibet] ma il popolo tibetano, nonostante le molte sofferenze, è rimasto non violento nel sostenere la propria causa. Nonostante le misure repressive e le provocazioni, la nostra gente ha continuato a protestare in modo non violento, nel Tibet e nel mondo”.
In questa situazione, e soprattutto per il buon esito dei negoziati in corso con la Cina, il premier ritiene essenziale il sostegno della comunità internazionale, “che conosce le sofferenze della popolazione tibetana, la gran parte dei leader mondiali ha simpatia per la causa tibetana. Grazie al Dalai Lama, la spiritualità e la cultura tibetane sono conosciute in tutto il mondo. Anche per questo non perdo la speranza”.
La cultura della non violenza è talmente radicata tra i tibetani che, sebbene molti giovani tibetani siano critici verso le trattative con Pechino predicata dal governo in esilio, comunque “non ci sono state azioni violente. Al massimo i giovani tibetani hanno organizzato dimostrazioni di protesta, ma non ci sono stati incidenti. Per esempio, il gruppo Tibetan Youth Congress utilizza mezzi di protesta non violenti, anche se non sono d'accordo col Dalai Lama sulla politica verso Pechino”.
Il nuovo problema è la pretesa di Pechino di scegliere il nuovo Dalai Lama. Per la religione tibetana il Dalai Lama, quale reincarnazione del Buddha, va riconosciuto nel rispetto di complicati rituali religiosi. Ma nei giorni scorsi il governatore della Regione autonoma tibetana, Padma Choling, ha detto che “non c’è alcun bisogno di discutere sulla reincarnazione del Dalai Lama”, facendo capire che il nuovo Dio-re dei tibetani sarà scelto dalle autorità politiche.
Rinpoche ha un approccio cauto e commenta solo che “non dobbiamo prendere posizione sulla semplice propaganda cinese. Lasciamo parlare il Partito comunista cinese, noi abbiamo un cuore tibetano”.
Circa i rapporti con il popolo cinese, Rinpoche ribadisce che “esprimiamo gratitudine alla popolazione della Cina, che ha dato grande sostegno alla causa tibetana. Gli intellettuali e gli scrittori cinesi sono simpatetici con la nostra causa”.