Giovanni Paolo II “salvatore” dell’unità del Libano
Beirut (AsiaNews) - “Il Libano è più di un Paese, è un messaggio di pluralismo per l’Oriente e l’Occidente”: Questa formula coniata da Giovanni Paolo II negli anni ’80, ha fatto fortuna in Libano. Non c’è settimana in cui un leader politico o religioso, cristiano o musulmano, non se ne serva per esprimere il suo ideale di quello che dovrebbe essere il nostro Paese, sempre scosso e tirato di qua e di là da correnti politiche e ideologiche contrarie.
É un fatto che dalla sua elezione nel 1978, Giovanni Paolo II è stato strettamente coinvolto alla storia della guerra in Libano (1975-1990). L’attenzione straordinaria che ha manifestato verso di noi, l’ha indotto nel 1997 a consacrare al Libano un’assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per il nostro Paese. Tutto ciò ha una spiegazione. Ricordare questa storia ci permette di vedere come una trama provvidenziale si intesse nello spessore delle nostre azioni quotidiane, e quasi a nostra insaputa.
Alcuni storici l’hanno affermato: il Libano nato nel 1943 da un patto di intesa nazionale concluso fra le comunità cristiane e musulmane, avrebbe potuto semplicemente sparire dalla carta geografica, sotto la pressione delle forze, o delle congiunture esterne, o disintegrarsi sotto la pressione dei fattori interni, e soprattutto a causa del carattere eterogeneo della sua società. Il fatto che questa esplosione non si sia prodotta è dovuto a un insieme di fattori.
Il ruolo giocato, in questo senso, da Giovanni Paolo II e dalla diplomazia vaticana meriterebbe più di un articolo. Ci sia permesso di illustrarne almeno alcune linee. Nessuno ha sottolineato con maggior forza del grande Papa la vocazione all’unità dei libanesi. L’ha fatto ripetutamente, in maniera insistente, indirizzando al Libano un messaggio dopo l’altro; facendo pregare per il Libano i vescovi del mondo intero; andando persino contro le aspirazioni di alcune forze politiche cristiane in Libano, tentate dall’idea di una spartizione.
Ecco un racconto sorprendente, per tutti coloro che si interrogano su chi ha incoraggiato concretamente Giovanni Paolo II a occuparsi con tanta costanza del dossier Libano. Si entra forse qui in quella che si chiama la “piccola storia”, ma nondimeno è un dettaglio rivelatore. Lo si deve a Gilberte Doummar, una madre di famiglia del movimento dei Focolari, che ha rappresentato il Libano, per lunghi anni al Pontificio consiglio per i laici. A questo titolo si è spesso recata in Vaticano, e ha incontrato a diverse riprese, il Papa e i suoi collaboratori più vicini.
Ecco la sua testimonianza: “Siamo nel 1984, durante la prima assemblea del Pontificio Consiglio per i Laici. Siamo riuniti nella Sala Clementina, Il cardinale Pironio, allora presidente di questo Consiglio, mi presenta al Papa. Lo ringrazio per tutto quello che fa per il Libano, e mi risponde: ‘Sì, il Libano è al centro delle mie preoccupazioni, delle mie preghiere’. La sera stessa incontro un amico di lunga data del Papa, lo scrittore Stephane Vilkanovitch, e gli dico: ‘Il Papa ha un amore speciale per il Libano. Come mai, perché’? Mi risponde : ‘Lo incontro questa sera. Gli pongo la questione’.
Il giorno dopo mi dice: ‘Ho la risposta. Eccola. Quando, nell’ottobre 1978, dopo la sua elezione, è uscito per salutare la folla su piazza San Pietro, e all’epoca i cartelli e gli striscioni erano proibiti, è saltato fuori un cartello: ‘Santo Padre, salvi il Libano!’, prima di essere fatto sparire rapidamente. E, ha detto il Santo Padre, quel messaggio l’ha colpito al cuore come una freccia. Alla fine dei festeggiamenti, dopo aver salutato tutti, è rientrato, ed è andato a inginocchiarsi davanti al Santissimo, e ha chiesto a Gesù, presente nell’eucaristia, abbastanza vita per poter salvare il Libano”.
Ecco come un semplice gesto può influire sul corso degli avvenimenti! Già nel 1978 Giovanni Paolo II aveva fissato come obiettivo alla diplomazia vaticana quello di impedire la frammentazione del Libano. E Dio non solo ha dato abbastanza vita a Giovanni Paolo II per “salvare il Libano”; e l’ha anche salvato, secondo quando pensava il Papa stesso, nel corso dell’attentato del 13 maggio 1981, per permettergli di compiere quella missione particolare che si era assegnato, e che, naturalmente, si inserisce in una trama globale a dimensione mondiale.
“Quello che soprattutto importava al Papa – sottolinea Gilberte Doummar – era l’unità del Paese. Voleva che i cristiani lavorassero per l’unità del Libano. Nel marzo 1986 la Santa Sede, sotto il suo impulso, ha lanciato un piano di uscita dalla guerra che il cardinale Achille Silvestrini, principale figura diplomatica del Vaticano nel suo pontificato, è stato incaricato di mettere in opera. Ha tentato, in particolare, di riunire un vertice nazionale islamo-cristiano. Ma Silvestrini non è riuscito ad aprire una breccia nel muro che si era innalzato fra i libanesi. In precedenza, il Vaticano si era speso invano tentando di impedire che le milizie cristiane si armassero, pensando che le vie della pace erano preferibili a quelle della violenza. Ha rimproverato ad alcuni responsabili di ordini monastici di aver dimenticato la loro vocazione fornendo armi ai cristiani”.
“Nel 1987 – riprende Gilberte Doummar – dopo il fallimento della missione Silvestrini, molto triste e con un gesto della mano, il Papa mi ha detto: ‘Pregate, fate pregare per il Libano’. Quando ha dichiarato il Libano ‘Paese-messaggio’, vedeva con uno sguardo profetico quello che il Libano poteva offrire, l’irraggiamento, la missione molto grande che poteva avere. Il Libano è fatto per l’unità. Il Papa aveva il dono di vedere quello che noi non vediamo”.
Il Papa finirà per raggiungere, in parte, il suo obiettivo, almeno sul piano spirituale. Ha convocato un’assemblea speciale del Sinodo dei vescovi sul Libano. Si è tenuta nel 1995. Due anni più tardi, nel 1997, la pubblicazione dell’esortazione apostolica “Una speranza per il Libano” ha consacrato, contro venti e maree, la sua visione per il nostro Paese.
Molti cristiani e musulmani si sentirono interpellati da questo documento spirituale, invitati a questo banchetto della storia. “Per i cristiani – pensa il ricercatore Fadi Daou – era passare da una fase in cui si erano comportati come se il Libano appartenesse a loro a una fase in cui il Libano, parte della loro identità, diventava un messaggio da trasmettere, un progetto da realizzare, un modello da servire”.
Questo articolo preparato per AsiaNews, è l’estratto di un libro di Fady Noun, di prossima pubblicazione da parte dell’università di Saint Joseph, dal titolo “Devastazione e redenzione”.
23/05/2020 08:07