Giovanni Paolo II, acclamato “Rabbino capo”dagli ebrei di Israele
L’11 dicembre 1992, in un discorso programmatico (seppur all’epoca poco notato), ad un convegno di giuristi riuniti presso la Pontificio Università Lateranense, Giovanni Paolo II svelò la sua visione per una Chiesa, anche nel Medio Oriente, non più “protetta” ma libera e attiva, con membri che godono, non dello statuto di una “minoranza” tollerata, ma dei pieni diritti umani e civili, in base di eguaglianza con tutti i loro concittadini. In quel momento era già pronto per la firma il primo esempio di questo nuovo ordine, l’Accordo fondamentale con Israele, che sarà solennemente firmato, per mandato del Sovrano Pontefice, il 30 dello stesso mese (il 15 febbraio 2000 sarà firmato l’analogo Accordo di base con i palestinesi). Così si voleva dire il definitivo “addio” a tredici secoli di emarginazione della Chiesa e dei cristiani, nella regione. Come suggerito dalla denominazione stessa di “fondamentale”, l’Accordo non è in sé compiuto, e richiede una serie di accordi integrativi, perché la grande promessa che esso rappresenta diventi pienamente realtà. Giovanni Paolo II poté ancora dare il mandato per la firma di un secondo Accordo, nel 1997, che garantisce il pieno riconoscimento civile alla personalità giuridica degli enti ecclesiastici, e poi benedire l’avviamento, nel 1999, dei negoziati (tuttora in corso) per un Accordo a tutela dei beni della Chiesa, specie i Luoghi Santi, e del suo statuto fiscale. In programma sarebbero accordi sugli altri temi adombrati da quello fondamentale, notevolmente sulla residenza del clero e dei religiosi provenienti da tutte le parti della Cattolicità; sull’assistenza religiosa ai carcerati, ai militari e ai degenti nei nosocomi; sulla corretta presentazione nelle scuole, di Cristo, del cristianesimo e della Chiesa.
Ma i trattati giuridici devono essere vivificati da un dialogo vero, non solo con lo Stato, ma con la società, onde il significato dell’enorme impatto sul pubblico israeliano della testimonianza di Giovanni Paolo II nel corso del Pellegrinaggio dell’Anno 2000. Così profondamente colpiti erano gli ebrei israeliani dalla sua Persona e dalle sue parole che, seppur non più che freddamente corretti alla vigilia, al momento della partenza del Papa, una grande maggioranza disse ai sondaggisti di volerlo Rabbino Capo della Nazione!
Onde far perseverare nel tempo quel benefico influsso, radicarlo nella coscienza del popolo, renderlo duraturo, nel 2003 il Papa volle nominare il primo Vescovo per i cattolici di espressione ebraica in Israele. Tale Vescovo (ora morto – si sarebbe in attesa di successore) avrebbe reso l’incontro della Chiesa con gli israeliani di espressione ebraica “interno”, avrebbe permesso alla Chiesa di rapportarsi ai componenti della società israeliana di espressione ebraica, non più come “estranea”, ma “dall’interno” della loro cultura, della loro esperienza, e nella propria lingua, come del resto è normale in ogni popolo e nazione.
Troppo poche e povere sono queste parole per descrivere l’eredità lasciata da Giovanni Paolo II alla Chiesa in Israele. Soprattutto il suo ricordo ci invita, ci sfida ad andare oltre, progredire, costruire ed osare ancora, sempre di nuovo, sempre di più. E per intercessione del Beato Giovanni Paolo II, tutto di Maria perché tutto di Cristo, possiamo sempre trovarci idealmente accanto alla Beata Vergine Maria di Nazaret mentre ascolta e crede all’assicurazione dell’angelo “Nulla è impossibile a Dio”.
Padre David-Maria A. Jaeger, religioso francescano della Custodia di Terra Santa, è cittadino israeliano di nazionalità ebraica; ora cinquantaseienne è il primo ebreo nato in Israele ad essere ordinato sacerdote cattolico (nel 1986).