22/03/2011, 00.00
GIAPPONE
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Giappone, in missione fra paura e speranza

di Nirmala Carvalho
Il padre gesuita Arun D Souza sj, che si trova a circa mille chilometri dalla capitale nipponica, racconta ad AsiaNews la propria testimonianza sul territorio e sottolinea: “Ora è il tempo di non cedere alla paura e di dare voce alla preghiera”. Intanto sale il numero delle vittime e il livello di radiazioni a Fukushima.
Yamaguchi (AsiaNews) – Alla gente del Giappone “ora serve tutto, dai generi di prima necessità a un piano di ricostruzione. Ma serve anche e soprattutto la preghiera, unica arma in grado di sanare le ferite che le vittime e i sopravvissuti porteranno dentro per molto tempo”. Il padre gesuita Arun D Souza sj, che si trova a circa mille chilometri dalla capitale nipponica, racconta ad AsiaNews la propria testimonianza sul territorio e sottolinea: “Ora è il tempo di non cedere alla paura”.

La missione di p. Arun si snoda fra gli studi universitari e l’attività missionaria a Yamaguchi, ma il sacerdote è nativo di Karkala, distretto di Udupi, in India. Fa parte della provincia dei gesuiti del Karnataka e, al momento, studia alla Facoltà di teologia della Sophia University di Tokyo. Il Sol Levante, nel frattempo, conta le nuove vittime – superate le 15mila unità accertate – e guarda con apprensione ai nuovi livelli di radioattività di Fukushima, 30 volte superiori agli standard di sicurezza.

La popolazione, racconta p. Arun, “è unita nel dolore, ma si sostiene e si incoraggia con l’aiuto ai più deboli. Ma la paura delle radiazioni ha preso il controllo di tutti: non dobbiamo dimenticare infatti che il Giappone ha già subito due tragedie atomiche. Non vogliono più subire nulla del genere, e l’esplosione delle centrali nucleari pone una sfida enorme e indesiderata. Va considerato anche che il Paese si è appena ripreso dalla crisi finanziaria: servivano ancora 2 o 3 anni per la ripresa completa, ma a questo punto ci vorrà molto di più”.

I cattolici in Giappone, sottolinea, “sono lo 0,5 % della popolazione totale. Nella diocesi di Sendai, l’epicentro dell’incubo atomico, ci sono le prefetture di Sendai, Miyagi, Aomori, Fukushima e Iwate. Secondo i primi rapporti dall’area, nessuna proprietà della Chiesa in zona ha subito grossi danni per lo tsunami, dato che la maggior parte di queste si trova all’interno e non sulla costa. In effetti, il terremoto non ha causato enormi devastazioni: è stata l’onda anomala a fare il maggior disastro. Tuttavia, come tutti gli altri, anche i cattolici hanno perso tutto: familiari, proprietà, affari, ma anche cibo e vestiti”.

Tuttavia, gli aiuti sono molto regolamentati: “Per quanto riguarda gli aiuti alla popolazione, va detto che la Chiesa da sola non può agire in maniera diretta. Tutto deve passare attraverso il governo locale e le autorità civili. La legge giapponese è molto chiara in materia. Vogliono evitare a tutti i costi il diffondersi di malattie e temono che, senza i controlli centrali, possano agire nelle aree colpite persone non desiderate o addirittura pericolose dal punto di vista sanitario. Ovviamente, però, la Chiesa ha già lanciato una raccolta di aiuti umanitari per i sopravvissuti”.

Alle parrocchie di tutto il Giappone, spiega, “è stata chiesta una raccolta fondi, che finiranno in beni di prima necessità e, in un secondo momento, nel piano di ricostruzione delle case colpite. Le diocesi e le congregazioni religiose si sono messe d’accordo per usare la Caritas giapponese come punto di raccolta di fondi e donazioni. Nelle numerose scuole cristiane sparse per il territorio nipponico sono state annullate tutte le attività extra-scolastiche, e i ragazzi hanno deciso di risparmiare in prima persona, per donare ai bisognosi”.

Personalmente, conclude p. Arun, “ritengo che ci sia molto bisogno anche della preghiera. Ovviamente, gli aiuti materiali sono fondamentali per la ripresa della nazione e delle aree colpite, ma soltanto la preghiera potrà sanare in profondità quelle ferite che queste persone porteranno dentro per molto, molto tempo”. 

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