Gerusalemme, patriarca Pizzaballa: quaresima di comunione, oltre guerra e pandemia
Israele ha riaperto i confini e si vedono i primi gruppi di pellegrini dopo due anni di chiusure per il Covid-19. Il primate latino ripercorre un tempo in cui “abbiamo fatto i conti con fragilità e solitudini”, ma è forte il desiderio “di ripartire” definendo “obiettivi e prospettive”. L’importanza di un “cammino sinodale” fatto di “partecipazione e missione”.
Gerusalemme (AsiaNews) - Una immagine di speranza, in un mondo segnato negli ultimi due anni dal conto delle vittime, dei contagi giornalieri e delle restrizioni imposte per combattere la pandemia di Covid-19. E che, negli ultimi giorni, si è risvegliato con un nuovo conflitto alle porte dell’Europa innescato dall’invasione russa dell’Ucraina, con il rischio che possa trasformarsi nella Terza guerra mondiale combattuta a colpi di devastanti armi atomiche. In questa realtà di ombre e paure, una luce arriva dai primi gruppi di pellegrini che tornano ad animare le strade della città vecchia a Gerusalemme e i luoghi santi della tradizione cristiana. Dal vuoto del coronavirus alle preghiere, nel periodo quaresimale che prepara alla Pasqua e che, in passato, rappresentava per decine di migliaia di fedeli una occasione per ripercorrere - da pellegrini - le orme di Gesù.
La rinascita legata alla stagione primaverile appena iniziata si accompagna alla ripresa dei viaggi nei luoghi santi, grazie alle riaperture decise dal governo israeliano. Il via libera era atteso già per Natale, ma l’emergere della variante Omicron aveva spinto le autorità a sigillare di nuovo i confini. Grazie a una massiccia campagna vaccinale e alla minore incidenza di ricoveri e vittime - in proporzione ai casi - con un allentamento della pressione ospedaliera, i vertici dello Stato ebraico hanno archiviato la fase di emergenza puntando verso il graduale ritorno a una (nuova) normalità. Da qui la riapertura, il primo marzo, dello spazio aereo ai turisti (anche i non vaccinati) di ogni età, previo tampone molecolare negativo alla partenza e un nuovo test negativo all’ingresso nello scalo internazionale Ben Gurion, a Tel Aviv.
Le principali attrazioni turistiche e i luoghi di culto sono accessibili e non serve più il Green pass (Tav yarok) per entrare in Israele, fra le prime nazioni al mondo ad adottare il controverso provvedimento. Resta l’obbligo di indossare la mascherina, soprattutto sui trasporti pubblici dove il dispositivo è ancora obbligatorio. Ciononostante, la città è tornata ad animarsi e sono visibili i primi gruppi di pellegrini come accaduto alla fine di febbraio quando il vicario patriarcale emerito mons. mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo ha accolto alcuni conterranei della diocesi di Treviso (nel nord Italia) e una rappresentanza dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. “Si tratta di piccoli gruppi - confida il prelato - di 20 o 30 persone al massimo, segnale di un andamento che possiamo definire positivo. E anche per tutta la Quaresima e la Settimana Santa prevediamo un buon afflusso, che dovrebbe andare in crescendo nel periodo successivo alla Pasqua”.
Silenzio, fragilità, solitudine
Uno degli eventi più simbolici e carichi di significato della prima fase della pandemia è la celebrazione - quasi in solitaria - del patriarca latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa alle pendici del monte degli Ulivi, la domenica delle Palme. Un rito che ha sostituito la tradizionale processione dentro le mura della città vecchia, con il governo - in linea con i provvedimenti adottati in gran parte del mondo - che aveva imposto un lockdown duro alla popolazione. Oggi, a due anni di distanza, l’atmosfera è cambiata e vi è attesa per le celebrazioni del periodo quaresimale, mentre crescono in pari tempo le prenotazioni di gruppi di pellegrini, uno dei settori trainanti dell’economia locale soprattutto per la componente cristiana. “Per due anni - ricorda ad AsiaNews il patriarca Pizzaballa - abbiamo dovuto assistere al silenzio, alla chiusura pressoché totale dei confini, alla drammatica situazione economica per molte famiglie a Betlemme, Gerusalemme e in altre aree della Terra Santa. A differenza dell‘Occidente - aggiunge - non abbiamo assistito a uno svuotamento delle chiese, ma vi sono state pesanti ripercussioni nel mondo accademico e scolastico. Abbiamo fatto i conti con molte fragilità e solitudini, tuttavia in questi mesi ho visto anche molta voglia di ripartire. Anche noi ci chiediamo come sarà il prima e il dopo della pandemia, non ci sono ancora risposte certe ma credo si debba prima di tutto lavorare. I risvolti si capiranno in futuro, per ora conta esserci e mantenere la nostra presenza”. L’obiettivo per le prossime settimane è di celebrare “una Quaresima normale” per quanto possibile, lasciandosi alle spalle “chiusure e ripristinando tutte le normali e consuete attività di preghiera, il digiuno che da noi è molto sentito”.
Una comunità in cammino
Il patriarca Pizzaballa anticipa anche il tema centrale del messaggio pasquale, che è quello di continuare a compiere “un cammino sinodale” che è fatto di “comunione, partecipazione, missione: questo - spiega - credo sia il punto più importante dopo due anni di restrizioni… incontrarsi e fare comunità”. In quest’ottica risultano fondamentali le progressive aperture e il ritorno dei fedeli da tutto il mondo: “I confini sono riaperti, dal primo marzo anche ai non vaccinati - conferma il primate - per questo si può guardare al futuro con cauto ottimismo. Certo, non ci aspettiamo subito numeri da record” registrati nei due anni precedenti la pandemia “ma guardiamo a una ripresa, con la consapevolezza di poter definire obiettivi e prospettive. Riorganizzare l’apertura dei santuari, dei luoghi di culto richiede tempo, ma sappiamo che si sta procedendo in quella direzione”.
Sulla situazione della Chiesa in Terra Santa, il patriarca latino sottolinea che “non abbiamo le vocazioni di 20 anni fa in termini numerici, ma ci sono ancora e provengono da tutto il territorio. Anche il profilo è cambiato, perché prima erano giovanissimi mentre oggi sono molti gli ingressi in seminario di persone dal mondo del lavoro o dell’università. Sono vocazioni più mature, che richiedono programmi formativi diversi” in una realtà in cui “la componente migrante” resta una presenza significativa” e capace di sopravvivere “a dispetto dei non pochi problemi”.
Infine, sulle tensioni che ancora oggi caratterizzano l’area e due anni di pandemia non hanno sopito ma hanno contribuito a esasperare il patriarca Pizzaballa non vuole cedere al pessimismo: “Il Medio oriente e la Terra Santa in particolare sono una realtà di ‘et…et’, non di ‘aut…aut’” e dopo le violenze dei mesi scorsi, con la guerra lampo a Gaza e zone contese come Sheikh Jarrah a Gerusalemme “accogliamo con favore i permessi che il governo di Israele ha concesso per la Striscia. Servono relazioni, rapporti e per Gaza la situazione sembra essere migliorata di recente. I cambiamenti non avvengono dall’oggi al domani perché richiedono passaggi che sono anche culturali oltre che legislativi, richiedono impegno e pazienza” come la “cittadinanza”, che può essere la base di una “convivenza” pacifica nella regione.
24/06/2016 12:48