15/08/2024, 09.00
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Gao Zhisheng, l’appello della moglie a sette anni dalla scomparsa: ‘ditemi se è vivo!’

Sui social Geng He si rivolge al governo degli Stati Uniti e alla comunità internazionale per avere notizie dell’avvocato e attivista cristiano. La donna non chiede il rilascio, ma chiede a Pechino notizie certe sulla sua sorte. Cinque membri della Shengjia Church a Shunde a processo con accuse pretestuose di “operazioni commerciali illegali”, reato generico usato per perseguitare i fedeli. 

Pechino (AsiaNews) - “Mio marito, Zhisheng Gao, è scomparso in Cina da sette anni. Oggi mi appello ancora una volta al regime comunista cinese. Non vi chiedo di rilasciarlo, né mi aspetto che lo riportiate in libertà, ma spero solo che mi diciate se è ancora vivo o no”. Sono le parole, rilanciate su X (ex Twitter) in queste ore da Geng He, moglie dell’avvocato cristiano nelle mani della polizia cinese e la cui sorte è ad oggi ignota e non si hanno notizie. Proprio ieri, infatti, ricorreva il settimo anniversario dalla sparizione e, per questo, la donna ha voluto lanciare un appello indirizzato anche a governi occidentali e organizzazioni attiviste: “Imploro - ha proseguito nella nota, accompagnata da un video - anche il governo degli Stati Uniti, la comunità internazionale e le organizzazioni per i diritti umani di aiutarci a trovare Zhisheng Gao!”. 

Raccogliendo le parole della moglie, in queste ore oltre 140 organizzazioni internazionali per i diritti umani, tra cui ChinaAid, si sono unite per firmare una dichiarazione diretta al Partito Comunista Cinese: la richiesta è di avere informazioni ufficiali, e certe, circa la sorte di Gao Zhisheng e dove si trovi al momento rinchiuso. Un appello rilanciato durante la manifestazione di protesta davanti al consolato cinese a Los Angeles, negli Stati Uniti, che si è tenuto nella serata di ieri cui hanno aderito diversi persone. 

Vittima più ‘celebre’ di sparizioni forzate

Gao Zhisheng proviene da una famiglia povera. Suo padre è morto quando aveva 11 anni, lasciando la famiglia in condizioni di difficoltà. All’età di 16 anni è stato ammesso a una scuola media della contea, ma a causa della povertà della famiglia ha dovuto interrompere gli studi e a tornare a casa per lavorare nell’agricoltura. Egli trascorre due anni a scavare carbone in una miniera, senza ricevere alcun salario. Per guadagnarsi da vivere a 21 anni si arruola nell’esercito dove incontra la futura moglie Geng He, con la quale si sposa nel 1990. Lasciato l’esercito, Gao resta a lavorare nello Xinjiang, vendendo verdure e frutta sulla strada per mantenersi.

Di fronte ad abusi e violazioni di cui è testimone, egli decide di intraprendere gli studi di avvocato e, da auto-didatta, supera nel 1995 l’esame di abilitazione alla professione forense e l’anno successivo ha iniziato a praticare l’avvocatura a Urumqi, all'età di 32 anni. I primi lavori riguardano l’assistenza legale di gruppi di vulnerabili, un lavoro importante e apprezzato che lo porta a diventare nel 2001 fra i “Dieci avvocati di spicco” del Paese su nomina del ministero cinese della Giustizia. Egli è stato uno dei primi avvocati per i diritti umani a emergere al grande pubblico all’inizio degli anni Duemila ed è stato un leader importante nel movimento di difesa dei diritti in Cina. Si è occupato di casi di lavoratori migranti e ha difeso persone perseguitate dalle autorità comuniste per la loro fede, compresi i cristiani.

Nel 2006 è stato condannato una prima volta a tre anni per “incitamento alla sovversione del potere statale”. Rilasciato sulla parola, tra il 2007 e il 2011 è stato ripetutamente fatto sparire con la forza e torturato dalla polizia. La sua vicenda è fra i casi più celebri e documentati di sparizione forzata e prolungata, in cui il governo cinese viola apertamente il diritto internazionale. Da sette anni la moglie Geng He lancia appelli al governo cinese affinché fornisca informazioni sulla sorte di Gao. La sua richiesta è molto semplice: sapere dove si trova suo marito. Tuttavia, Pechino non ha mai fornito alcuna informazione, nemmeno le notizie basilari come il luogo in cui è detenuto.

Cristiani alla sbarra

Intanto non si fermano arresti e processi di cristiani in Cina, la cui “colpa” agli occhi delle autorità è quella di praticare la fede. Nei giorni scorsi si è aperto il processo nei confronti di cinque membri della Shengjia Church a Shunde, nella provincia del Guangdong. Essi sono Deng Yanxiang, Wang Weicai, Zhu Longjiang, Zhu Qiaoling e Zhu Longfei e devono rispondere dell’accusa di “operazioni commerciali illegali”. La Chiesa di Shengjia è una chiesa domestica che non ha aderito alla Three-Self Church, approvata dal governo. Il 24 maggio 2023 è stata oggetto di un’incursione da parte di diversi dipartimenti tra cui l’ufficio di Pubblica sicurezza, l’ufficio Affari religiosi, il dipartimento dell’Istruzione e il dipartimento dell'Industria e del commercio. Il pastore Deng Yanxiang e gli altri membri della comunità sono stati arrestati dalla polizia di Shunde perché sospettati di operazioni commerciali illegali. Anche due luoghi di studio della Bibbia sono stati perquisiti da oltre un centinaio di membri del personale e sono stati confiscati libri e materiale religioso.

Il 9 agosto dello stesso anno, l’anziano Zhu Longfei è stato convocato dalla polizia di Shunde e arrestato per sospetta attività commerciale illegale. Secondo quanto riferito, le cosiddette operazioni sotto la lente della magistratura si riferiscono in realtà “alla stampa di alcuni materiali di studio della Bibbia per uso interno, senza alcuna attività a scopo di lucro”. La Chiesa è stata oggetto di pesanti persecuzioni che hanno causato profonde sofferenze ai suoi membri e ai loro familiari. Dopo l’arresto dei cinque cristiani, le loro famiglie e diversi membri della chiesa hanno lanciato un appello pubblico a loro favore, affermando che sono persone oneste e non hanno commesso alcun crimine, per questo vanno rilasciati riconoscendone l’innocenza. In tribunale l’avvocato ha perorato la loro causa proclamandone l’innocenza e definendo le accuse “generiche e completamente infondate” per mancanza di “profitto”, ma non è bastato e i cinque restano in carcere. 

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