Gansu: arrestato il monaco tibetano Jigme Guri
di Nirmala Carvalho
Il fermo risale al 20 agosto. Perquisita la stanza dell’albergo dove soggiornava, sequestrati computer e cd. Per la quarta volta è finito nel mirino della polizia cinese, che lo aveva già arrestato nel marzo 2008 all’indomani della rivolta dei monaci. Cresce la repressione di Pechino verso la minoranza tibetana.
Dharamsala (AsiaNews) – Le autorità cinesi hanno arrestato (di nuovo) il monaco tibetano Jigme Guri (o Gyatso), mentre soggiornava all’hotel “Z-hong Yan” nella città di Tsoe (Hezou per la Cina), a Kanlho, la Prefettura autonoma tibetana nella provincia del Gansu. Il fermo risale al 20 agosto scorso. Fonti locali riferiscono che la polizia ha “setacciato” a fondo la stanza occupata nel monastero, sequestrando il computer e diversi cd. Ma soprattutto, gli agenti hanno portato via almeno 30 immagini (di cui 10 grandi e 20 piccole) del Dalai Lama, custodite da Gyatso nel suo alloggio. Al momento dell’arresto erano presenti altri monaci; gli agenti non hanno fornito alcuna spiegazione alla base del provvedimento.
Jigme Guri, 44 anni, nato in una povera famiglia di contadini del villaggio di Lhutang, appartiene al monastero di Labrang e già nel marzo 2008 era finito nel mirino delle autorità cinesi, che lo avevano incarcerato mentre rientrava dal mercato cittadino. Egli è stato imprigionato e torturato per mesi in un carcere speciale, con il sospetto di aver partecipato alla rivolta dei monaci del 2008.
Il secondo arresto risale al 3 settembre dello stesso anno, per aver denunciato le violenze dei cinesi contro i tibetani. Il terzo arresto – dopo aver passato due mesi nascosto per sfuggire alle maglie dell’autorità – è avvenuto il 4 novembre 2008, con un dispiego enorme di armi e mezzi militari. Egli è rimasto in prigione sino al maggio 2009.
Dal 20 agosto scorso, giorno in cui è stato fermato dalle autorità cinesi, di lui non si hanno più notizie. Jigme Guri è solo l’ultimo di una serie di esponenti della comunità tibetana, vittime della repressione imposta da Pechino: tra il 19 e il 22 agosto la polizia ha arrestato tre uomini nella contea di Tawu (Kandze, Sichuan); nonostante gli appelli delle famiglie, non sono stati resi noti i motivi degli arresti. Risale al 15 agosto, invece, il suicidio del monaco tibetano Tsewang Norbu, del monastero di Nyitso, che si è dato fuoco chiedendo la libertà per il suo popolo.
Jigme Guri, 44 anni, nato in una povera famiglia di contadini del villaggio di Lhutang, appartiene al monastero di Labrang e già nel marzo 2008 era finito nel mirino delle autorità cinesi, che lo avevano incarcerato mentre rientrava dal mercato cittadino. Egli è stato imprigionato e torturato per mesi in un carcere speciale, con il sospetto di aver partecipato alla rivolta dei monaci del 2008.
Il secondo arresto risale al 3 settembre dello stesso anno, per aver denunciato le violenze dei cinesi contro i tibetani. Il terzo arresto – dopo aver passato due mesi nascosto per sfuggire alle maglie dell’autorità – è avvenuto il 4 novembre 2008, con un dispiego enorme di armi e mezzi militari. Egli è rimasto in prigione sino al maggio 2009.
Dal 20 agosto scorso, giorno in cui è stato fermato dalle autorità cinesi, di lui non si hanno più notizie. Jigme Guri è solo l’ultimo di una serie di esponenti della comunità tibetana, vittime della repressione imposta da Pechino: tra il 19 e il 22 agosto la polizia ha arrestato tre uomini nella contea di Tawu (Kandze, Sichuan); nonostante gli appelli delle famiglie, non sono stati resi noti i motivi degli arresti. Risale al 15 agosto, invece, il suicidio del monaco tibetano Tsewang Norbu, del monastero di Nyitso, che si è dato fuoco chiedendo la libertà per il suo popolo.
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