06/04/2011, 00.00
GIAPPONE
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Fukushima, chiusa la falla di acqua radioattiva. Si lotta per riattivare le pompe di raffreddamento

La breccia di circa 20 cm versava nel Pacifico tonnellate di liquido radioattivo. Dieci cristiani fra gli "eroi" che lavorano nella centrale. L’India blocca ogni importazione di prodotti alimentari dal Giappone. Altri Paesi stanno considerando misure analoghe.

Tokyo (AsiaNews/Agenzie) – I tecnici a Fukushima sono riusciti a chiudere la falla da cui acqua contaminata si riversava nell’oceano. Per parecchi giorni tonnellate di liquido radioattivo sono passate attraverso una fenditura di circa 20 cm di larghezza nella parete di un pozzo in cemento vicino al reattore n. 2. Le squadre di emergenza hanno cercato più volte senza successo di chiudere la breccia, usando un miscuglio di segatura, carta di giornale e polimeri assorbenti. L’acqua che usciva dalla falla era contaminata con iodio la cui radioattività era quattromila volte superiore ai limiti accettati. I tecnici hanno chiuso la falla usando sodio silicato, un agente chimico noto anche come “acqua vetro”.

Sarà comunque necessario riversare nel Pacifico circa 11.500 tonnellate di acqua a bassa radioattività, per fare spazio nei bacini all’acqua più contaminata, usata per raffreddare i reattori. I tecnici affermano che l’acqua che sarà pompata nell’oceano non pone problemi significativi per la salute. La battaglia continua; i tecnici stanno ancora lottando per rimettere in funzione le pompe di raffreddamento, che riciclano l’acqua, nei quattro reattori danneggiati dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo. Mons. Tetsuo Hiraga, vescovo di Sendai, ha fatto sapere che ci sono dieci cristiani fra “gli uomini valorosi che nella centrale di Fukushima stanno compiendo un lavoro delicato con la piena consapevolezza di dare la propria vita per il bene comune”.

Un numero crescente di paesi sta bloccando importazioni di prodotti alimentari dal Giappone. Oggi il governo indiano ha annunciato un blocco totale, unendosi così a Cina, Stati Uniti, Singapore e Hong Kong, mentre misure analoghe sono allo studio in Corea, nell’Unione Europea e in Australia.

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