Francescani di Terra Santa: da Gerusalemme a Ur sulle orme di Abramo
Una delegazione della Custodia ha visitato l’Iraq nei giorni dell’ordinazione episcopale del neo vescovo siro-cattolico di Mosul, un Paese segnato dal dramma dello Stato islamico. La visita alla cattedrale di Baghdad, teatro della strage del 2010. La statua della Madonna a Bassora, dove si fermano a pregare anche i musulmani.
Gerusalemme (AsiaNews) - Pubblichiamo il resoconto di un pellegrinaggio di un gruppo di francescani di Terra Santa, guidati dal vicario custodiale p. Ibrahim Faltas, dal 31 gennaio all’8 febbraio scorso. La visita è stata occasione per partecipare all’ordinazione del neo vescovo di Mosul dei siro-cattolici e visitare alcuni fra i luoghi più significativi della presenza cristiana in Iraq, terra che porta ancora i segni delle devastazioni dell’Isis. Di seguito, la testimonianza di p. Ibrahim.
Un viaggio nel tempo, ripercorrendo le antiche strade nella terra di Abramo. Partiti al mattino da Gerusalemme, giunti per pranzo ad Amman e cena a Baghdad ha dell’incredibile: dalla terra di Gesù alla Giordania dove Mosè ha condotto il popolo di Israele alla Terra Promessa fino all’Iraq, alle nostre origini con una piccola delegazione di frati francescani. L’occasione della visita è la partecipazione all’ordinazione episcopale di mons. Younan Hano, neo vescovo dei Siri di Mosul, cugino di p. Haitam, uno dei membri del gruppo di “pellegrini”.
Nell’incontro con il patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, abbiamo ripercorso le sofferenze della martoriata terra irachena, di una Chiesa distrutta e violata, di crocifissi scolpiti nella roccia che sono stati fatti sparire dalla furia dei soldati dello Stato islamico . Della sofferenza del popolo iracheno che ha dovuto abbandonare tutto, rifugiandosi altrove, per salvare la propria vita e quella dei figli. A Baghdad - chiamata Madinat as-Salam (città della pace) dal califfo Al Mansur - si respira l’aria della capitale che porta ancora i segni della guerra che ha distrutto siti monumentali antichi e prestigiosi, che la rendevano la seconda città più popolosa del Medio oriente dopo il Cairo. Commovente è stata poi la visita alla comunità siro-cattolica nella cattedrale di Nostra Signora della Salvezza dove, nell’ottobre 2010, 48 persone tra fedeli e sacerdoti sono stati uccisi mentre partecipavano alla messa, pagando il prezzo estremo della fedeltà al Signore.
A Qaraqosh, nella piana di Ninive, abbiamo partecipato all’ordinazione episcopale, una vera festa comunitaria per tutti i fedeli siro-cattolici, con oltre 1.500 persone in silenzio e preghiera. E una nutrita partecipazione di uomini e giovani, un aspetto che mi ha particolarmente colpito perché non siamo più abituati a vederli così numerosi nelle nostre chiese. La gente della zona ci ha accolti come una benedizione, perché venivamo da Gerusalemme, e i loro racconti erano colmi di una fede forte e incontrollabile. Dal 2014 al 2017 sono stati costretti a lasciare le loro case, abbandonare tutto, per sfuggire alla distruzione dell’Isis. Dopo questi lunghi anni di stenti e di terrore, sono tornati nella loro cittadina e stanno ricostruendo le loro case distrutte, il loro Paese, fieri di essere tornati nella loro terra sempre più radicati nella fede, e con la forte speranza di ricominciare.
Quando si parla di storia, nei libri ci si riferisce sempre a prima e dopo la nascita di Cristo; oggi nel mondo si tende a separare gli eventi fra prima e dopo il Covid; qui si usa dire prima di Daesh e dopo Daesh. La visita alla scuola materna delle suore francescane a Qaraqosh è stata occasione - in concomitanza con il mio compleanno - di recitare la preghiera del Padre Nostro in aramaico con gli studenti dell’istituto. Un momento di devozione che ci ha sorpreso per intensità e armonia delle parole che trasmettevano i bambini.
Vicino a Qaraqosh si trova Mosul. La città ci ha impressionato, come tutta la strada che abbiamo percorso che porta ovunque i segni di distruzione: case, monasteri, chiese teste delle statue della Madonna mozzate, luoghi della storia cancellati dalla devastazione di Daesh. Ma su tutta questa distruzione prevale il nuovo Santuario di Dio, che abbiamo incontrato nella fede di una popolazione che resta aggrappata alla propria terra e questo è fonte di speranza per tutti. Nel viaggio abbiamo trovato numerosi check-point, ma senza neanche mostrare i documenti era sufficiente dire che eravamo cristiani e ci lasciavano passare senza problemi.
Arrivati a Bassora, nel sud, alla confluenza dei fiumi Tigri ed Eufrate, ho visitato i progetti realizzati dalla Fondazione Giovanni Paolo II rivolti a bambini e giovani. Abbiamo incontrato l’arcivescovo locale, mons. Alnaufali Habib Jajou, che ha raccontato la vita della comunità locale, poi la visita alla chiesa del Sacro Cuore che, al suo interno, ospita una statua della Madonna di Lourdes dove anche molti fedeli sciiti si recano in preghiera. Al riguardo ci hanno raccontato di una bambina sciita di un quartiere musulmano, che si fermava spesso a pregare davanti alla Vergine e quando le hanno chiesto il motivo, la bambina ha risposto che non sapeva bene chi fosse questa donna, ma non la mandava mai via a mani vuote!
Infine, la tappa a Ur dei Caldei e l’antica terra di Abramo, il padre delle tre grandi religioni monoteiste: ebrei, cristiani e musulmani. Durante il viaggio la terribile notizia del terremoto in Turchia e Siria, i racconti degli sfollati ospitati nei nostri conventi e il lavoro dei frati per la gente impaurita e rimasta senza nulla. A Ur veniamo accolti da una delegazione di sciiti e per noi è come entrare in una pagina della Bibbia, nel 2000 a.C. È stata un’esperienza bellissima, condivisa con i miei confratelli e con le molte persone che abbiamo incontrato.
Abbiamo percorso molti chilometri, toccando con mano le ferite devastanti dell’invasione dell’Isis, le stesse ferite di Libia, Siria e di tutto il Medio oriente che non si sono ancora rimarginate. Millenni di cultura sono stati cancellati dalla guerra, ma il Signore è grande, perché dona continuamente la forza di rialzarsi e di ricominciare, come per il popolo iracheno che ha vissuto un esodo forzato, ma anche un ritorno “per amore” della propria terra e per mantenere vive le proprie radici. A prescindere dall’essere cristiano o sciita, ma uniti, superando le incomprensioni e le profonde ferite del passato per camminare assieme verso l’unità e la pace.
* vicario generale della Custodia di Terra Santa di Gerusalemme
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