Finisce la Marcia di ritorno in Tibet, si annunciano nuove proteste, ma anche colloqui
Dharamsala (AsiaNews) – Si è conclusa la Marcia di ritorno in Tibet, con una cerimonia ufficiale al campo degli esuli a Paonta Sahib e l’annuncio di nuove iniziative durante le Olimpiadi. Intanto Pechino dice che i colloqui con i rappresentanti del Dalai Lama riprenderanno a luglio.
Dopo 110 giorni, contrassegnati da ripetuti arresti dei partecipanti da parte delle autorità indiane, Ngawang Woebar, presidente del GuChuSum, Movimento degli ex prigionieri politici del Tibet, ha annunciato la fine della marcia, spiegando che però “prosegue l’attività del Movimento di ribellione del popolo tibetano. Ci riuniremo in numero maggiore per protestare contro le Olimpiadi”. Nei giorni precedenti le autorità indiane hanno rilasciato i 41 marciatori arrestati, alcuni dietro l’impegno di non partecipare ad attività idonee a “mettere in difficoltà” New Delhi.
Chime Youngdung, presidente del Partito nazionale democratico del Tibet, arrestato il 19 giugno e liberato dopo qualche giorno, definisce la marcia “un successo, come l’essere riusciti a entrare per 10 chilometri nella nostra Patria. Ora vogliamo mobilitare i tibetati di tutto il mondo per proteste durante le Olimpiadi”.
Bumo Tsering, presidente dell’Associazione delle donne tibetane, da Dharamsala spiega ad AsiaNews che “è triste che l’India, Paese che rispetta i valori umani e che da 50 anni accoglie i nostri profughi, debba soccombere alle pressioni cinesi e impedirci con la forza di valicare il confine e tornare nel nostro Tibet”. “La legge internazionale riconosce ai rifugiati il diritto di tornare in patria” e promette che lo faranno ad agosto, “quando in migliaia , non i soli 250 partecipanti alla marcia, partiranno da Paonta Sahib”. “La comunità internazionale deve capire che finché c’è anche un solo tibetano continuerà la battaglia e un giorno il Mondo dovrà riconoscere la questione tibetana e i leader mondiali dovranno attivarsi per risolverla”.
Intanto Pechino ha annunciato la ripresa dei colloqui con il Dalai Lama, per l’inizio di luglio, dicendosi “sempre aperta al dialogo” e auspicando una sua “risposta positiva alle richieste delle autorità centrali”, peraltro senza indicarle. La Cina ha sempre definito il Dalai Lama, leader spirituale tibetano, come un pericoloso terrorista, ma la pressione internazionale, dopo la repressione militare in Tibet a marzo, ha spinto Pechino ad accettare questo dialogo. Dopo gli incontri del 4 maggio, quelli fissati a giugno sono stati rinviati per l’emergenza del terremoto. Il Dalai Lama da tempo ripete che non chiede l’indipendenza del Tibet, ma solo una maggiore autonomia e invita a non boicottare le Olimpiadi di Pechino.