Filippine, si dimette il ministro dell'Agricoltura
La scelta motivata dalla volontà di "ripulire il proprio nome, non come politico ma come cittadino". Aumenta nel frattempo l'inflazione e l'insicurezza sociale anche se gli esperti avvertono: "Nessuno, per ora, è in grado di prendere il posto della presidente Arroyo"
Manila (AsiaNews) Arthur Yap, ministro dell'Agricoltura delle Filippine, si è dimesso oggi per protesta contro le accuse di evasione fiscale e corruzione che gli sono state mosse. L'uomo ha dichiarato in conferenza stampa: "Sono convinto che questo sia l'unico modo per ripulire il mio nome, non come membro del gabinetto governativo ma come cittadino della Repubblica. Non sono colpevole."
Yap è uno dei politici più vicini alla presidente Gloria Macapagal Arroyo, che ha fatto della lotta alla corruzione uno dei punti chiave del suo programma di governo.
Nelle ultime settimane una serie di scandali legati alla sua famiglia ed al suo governo hanno però drasticamente diminuito la sua popolarità tanto che per cercare di recuperare credibilità ha ammesso un suo coinvolgimento in una manovra di corruzione durante le elezioni del 2001. L'ammissione è avvenuta solo dopo la pubblicazione di un nastro audio in cui una voce femminile indicata come quella della presidente Arroyo parla di corruzione con uno dei commissari elettorali.
Anche la famiglia della presidente è coinvolta in questo calo di credibilità: il marito, il cognato ed il figlio sono implicati in un'inchiesta condotta dal Senato delle Filippine sul gioco d'azzardo e mercoledì 29 Jose Miguel Arroyo, il marito della donna, ha lasciato il Paese "per evitare come dichiarato dalla Arroyo - una situazione che potrebbe causare danni e far sorgere dubbi sulla presidenza".
Diversi parlamentari d'opposizione hanno chiesto a gran voce la rimozione della presidente, ma analisti politici definiscono questa mossa "impraticabile", dato che nel panorama politico del Paese non è presente una figura politica rilevante in grado di prenderne il posto.
Fonti di AsiaNews a Manila parlano di una situazione generale "più calma" rispetto alla settimana passata, nella quale le proteste popolari contro gli scandali ed il malgoverno sono state affiancate da una massiccia presenza militare per le strade della capitale. La situazione è comunque molto tesa e le proteste "sono solo la punta dell'iceberg": la vera molla che spinge la popolazione filippina verso le proteste spesso anche violente è la disastrata situazione economica del Paese.
Il Dipartimento delle finanze filippine ha dichiarato che il debito pubblico consolidato del Paese il complessivo indebitamento del governo e delle società di proprietà pubblica è aumentato del 10% nei primi 3 mesi del 2005: al momento il debito ammonta a 56,4 miliardi di pesos (1 miliardo di dollari americani). L'ammontare del debito pubblico è definito "insostenibile" dagli analisti economici: per pagarlo viene utilizzata la maggior parte delle finanze pubbliche, con corrispondente diminuzione di investimenti e di spese da parte del governo. Secondo dati ufficiali la somma necessaria per pagare le rate di capitale e gli interessi che gravano il debito pubblico è passata dal 39% del totale delle uscite del governo nel 2001 al 68% del 2004: un terzo del budget statale complessivo viene speso solo per pagare gli interessi sui debiti.
Il governo della presidente Arroyo ha in parte ereditato questa situazione ma ne è anche co-autore. La scelta governativa è stata infatti quella di aumentare in maniera ripetuta le imposte, sia quelle indirette che quelle sulle società, nel 2004 e nel 2005, nonché l'IVA. L'aumento dei prezzi causato dall'aumento delle imposte, specie per gli alimentari e l'energia, insieme a questa politica fiscale, hanno causato una grave inflazione pari all'8,5% nei primi 5 mesi del 2005 - con conseguente insicurezza sociale. La scarsità di posti di lavoro costringe ogni anno circa 8 milioni di filippini a emigrare all'estero. La povertà nel Paese è in aumento: nel 2002 il 20% delle famiglie non avevano disponibilità di acqua potabile e il 21% non disponeva di energia elettrica per uso domestico.