Eucaristia, la vita per l’uomo disilluso e dello “sterile arbitrio”
“Il Trionfo dell’Eucaristia”, il grande affresco di Raffaello ammirabile nelle Stanze vaticane mostra una chiesa “militante” in basso – un po’ agitata – e una Chiesa “trionfante” in alto, col Cristo dolce e benedicente, circondato da Maria, Giovanni il Battista, apostoli e santi. Tutte le linee, i pieni e i vuoti del grande affresco convergono verso l’ostensorio.
Benedetto XVI, con l’esortazione apostolica “Sacramentum caritatis” ha creato un affresco simile, usando parole, teologia e proposizioni dei vescovi uscite dal sinodo del 2005, che aveva come tema proprio “L’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa”.
Il dittico “fonte e culmine” è emerso nei documenti del concilio Vaticano II ed ha avuto un grande successo fra teologi e preti, ma questo non ha evitato una vera e propria emarginazione dell’eucaristia, a favore delle spiegazioni dottrinali, dei gruppi di esperienze, delle denunce sociali, fino all’abbandono del sacramento, considerato un devozionismo privato e inutile.
L’impresa riuscita di Benedetto XVI è di aver spiegato, come in un piccolo catechismo, che tutto, ma davvero tutto, sussiste e si tiene insieme grazie all’eucaristia: azione e contemplazione; mistica e impegno sociale; matrimonio e celibato; sacerdozio e laicato; autorità e obbedienza.
Vivere il celibato per i preti; il matrimonio indissolubile per gli sposati; la verginità come un dono gratuito di sé non è una legge imposta dall’esterno, ma elementi con cui si esplicita la verità contenuta dell’eucaristia, il luogo dove in eterno – cioè in ogni momento, anche adesso – si attinge alla vita di Dio, donata da Gesù Cristo. Eliminare, ridurre, rigettare, banalizzare qualcuno di questi elementi sopprime la grandezza del dono di Vita ricevuto.
Questa vita – che è verità e amore – attingibile adesso è quanto di più prezioso la Chiesa possa offrire al mondo. L’uomo del buddismo o dell’induismo si trova diviso e disilluso di fronte alla realtà; nell’islam o nel marxismo, per far trionfare il proprio dio o la propria ideologia, l’uomo è tentato di distruggere il presente; l’uomo post-moderno, che ha distrutto ogni “orientamento”, si ritrova una libertà fatta di “sterile arbitrio”. Il papa parla dell’eucaristia come inizio del mondo nuovo, come gusto di bellezza e di vita assaporabili già adesso, perché “nel sacramento dell’Eucaristia Gesù ci mostra… la verità dell’amore, che è la stessa essenza di Dio. È questa verità evangelica che interessa ogni uomo e tutto l’uomo” (n. 2).
Da questa riscoperta dell’eucaristia Benedetto XVI si attende una ripresa della missione cristiana verso tutte le culture, religioni e società, parlando perfino di “sfida” (n. 78). Per far comprendere e assaporare l’eucaristia al mondo occorrono testimoni “riconoscibili”, non semplici portatori di idee, o protagonisti di cose eccezionali, ma preti amanti di Cristo, laici amanti della vita e dei figli, politici capaci di appartenere alla Chiesa senza “se” e senza “ma”.
Il vero segno che Cristo è presente nell’eucaristia, che il Cielo è venuto ad “affacciarsi sulla terra” (n. 35) si manifesta nella bellezza architettonica delle chiese, nella cura per il rito, nel portare segni di speranza agli abissi in cui l’umanità si dibatte. Il papa chiede che “in forza del Mistero” si denunci la fame, la povertà, la corsa agli armamenti, la mancanza di libertà religiosa, l’inquinamento del creato; si lavori per i profughi, i malati. Ricordando che tutto nasce dall’adorazione, non mettendo da parte l’eucaristia, ma ponendola al centro della propria vita e di quella del mondo. La “vera gioia” per ogni uomo è “riconoscere che il Signore rimane tra noi, compagno fedele del nostro cammino” (n. 97).