05/10/2009, 00.00
MYANMAR
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Esule birmano: Il mondo non capisce che la giunta militare non vuole cambiare

di Tint Swe
Tint Swe, membro del Parlamento birmano in esilio, parla ad AsiaNews della drammatica situazione del Paese. La condanna-farsa per la leader democratica Aung San Suu Kyi è sintomatica della brutalità del regime militare rispetto alle deboli pressioni internazionali.

Mumbai (AsiaNews) – "Non possiamo definire ‘sentenza’ la decisione del tribunale di Yangoon del 2 ottobre di tenere Aung San Suu Kyi agli arresti domiciliari. Il giudice ha letto una decisione già scritta per lui da un’autorità superiore. In Myanmar, la legge è quanto dicono i comandanti militari”. Tint Swe, membro del Parlamento birmano in esilio, parla in esclusiva ad AsiaNews della difficile situazione del suo Paese, dopo che il 2 ottobre il tribunale di Yangoon ha confermato la sentenza emessa in primo grado l’11 agosto, che ha condannato la leader dell’opposizione a 18 mesi di detenzione domiciliare per aver fatto entrare nella sua abitazione John Yettaw, 54enne cittadino statunitense, violando i termini degli arresti domiciliari. La sentenza è stata molto criticata, anche perché l’intera vicenda appare assai anomala ed è certo che la visita di Yettaw non è stata in alcun modo provocata da Aung San. La Nobel per la pace, che ha trascorso 14 degli ultimi 20 anni agli arresti, non potrà così partecipare alle elezioni politiche in programma nel 2010. Subito dopo la sentenza numerosi leader indiani, tra cui Sonia Gandhi presidente dell’United Progressive Alliance, hanno sottoscritto un appello per l’immediato rilascio di Aung San e di oltre 2100 prigionieri politici. Riportiamo di seguito il commento di Tint Swe.

Nessuno è rimasto sorpreso quando l’appello di Aung San è stato respinto. Solo il suo avvocato Daw Suu è rimasto contrariato, perché le ragioni legali affermate dal giudice di primo grado sono contrarie all’autentico significato della legge. La corte ha ammesso che la Costituzione del 1974 non esiste, ma ha fatto riferimento [per condannare] a una previsione del 1975 che si basa sulla annullata Costituzione del 1974. Ma il giudice di secondo grado ha confermato la condanna, che ha ritenuto in parte corretta.

Invece, è stato liberato l’intruso Usa [Yettaw], che con chiarezza era colpevole. E per tutto un mese, prima della sentenza, c’è stata una fitta rete di incontri con degli Stati Uniti. Membri del Congresso Usa si sono incontrati con rappresentanti dell’opposizione democratica birmana, con il leader della giunta militare e con la stessa Aung San. Ora questa condanna mostra, ancora una volta, che il regime pratica grande tolleranza verso gli stranieri, ma una severità fanatica contro i propri cittadini. Questa condanna non applica la legge, è soltanto politica.

La vicenda deve far capire alla comunità internazionale che non deve sottostimare la vera natura del regime militare. Il rigetto dell’appello arriva pochi giorni dopo che Aung San ha scritto una lettera al leader militare Than Shwe proponendo il suo intervento per far togliere le sanzioni occidentali verso il Paese. Quelle sanzioni che la giunta cerca in modo disperato di eliminare. Nel 2007 il generale ha accennato che Aung San poteva essere rilasciata se interveniva per far togliere le sanzioni e si impegnava a rinunciare all’opposizione contro la giunta. Ora ella, in modo pubblico e ufficiale, si è detta pronta a intervenire per eliminare le sanzioni. Ma al giudice è stato ordinato di rigettare l’appello. Insomma, la giunta pretende di non avere né le sanzioni né Aung San.

Gli Stati Uniti, le Nazioni Unite (Segreteria generale, Assemblea, Consiglio di Sicurezza), continuano a chiedere il rilascio di Aung San. Russia e Cina continuano a porre il veto a maggiori sanzioni Onu. Il blocco dei Paesi Asean (che comprende il Myanmar e gli altri Stati del sudest asiatico) ha fatto un passo indietro rispetto alla richiesta di rilascio della leader democratica.

I diplomatici Onu hanno commentato, in modo cortese, che la giunta ha perso l’occasione di dimostrare che vuole tenere elezioni aperte a tutti, nel 2010. Per i generali questa non era un’opportunità, ma un problema da superare. Loro sono preparati a superare simili problemi, fino al voto del 2010. Con il Consiglio di sicurezza Onu impossibilitato a intervenire per il veto di Russia e Cina, con i Paesi vicini che hanno una politica di non interferenza, con la popolazione oppressa che non può organizzare un’opposizione, il regime non ha ragione per cambiare.

(Ha collaborato Nirmala Carvalho)

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