Esule birmano: Aung San Suu Kyi, il “cardine” del cambiamento in Myanmar
di Dario Salvi
Tint Swe, membro del Consiglio dei ministri dell’Unione della Birmania, sottolinea la forza del movimento democratico, più forte di 20 anni di regime militare. Egli giudica “interessanti” i cambiamenti del Paese, ma sospetta pure “un modo diverso” della leadership per mantenere il potere. Solo le “pressioni” della comunità internazionale portano un vero cambiamento.
Roma (AsiaNews) – Il segretario generale Onu Ban Ki-moon ha apprezzato la liberazione di circa 200 prigionieri politici dalle carceri birmane, nel quadro di un’amnistia generale decisa dal presidente Thein Sein che ha portato alla liberazione di oltre 6mila prigionieri. Tuttavia, il segretario generale Onu auspica il “rilascio anticipato” degli altri 2mila detenuti “per reati di opinione”, ancora oggi rinchiusi nelle prigioni del Paese. Tra questi vi sono giornalisti, leader della lotta democratica, personalità coinvolte nelle dimostrazioni studentesche del 1988 e monaci buddisti.
Intanto dal fronte interno arrivano altri segnali che inducono al cauto ottimismo: è di questi giorni la notizia secondo cui il presidente avrebbe firmato una nuova legge sul lavoro, che l’Ilo (Organizzazione internazionale per il lavoro) definisce “un passo avanti enorme per il Paese”. La norma emanata da Thein Sein abroga la draconiana Trade Unions Act del 1962 – anno in cui salì al potere la prima dittatura militare in Birmania – che proibiva la formazione di associazioni sindacali. Ora i lavoratori birmani hanno il diritto di scioperare, con un preavviso di tre giorni nel privato e di 14 nel pubblico.
Per approfondire gli sviluppi della politica birmana, le prospettive del cammino democratico e il ruolo del Myanmar sulla scena internazionale, AsiaNews ha intervistato Tint Swe, membro del Consiglio dei ministri del governo di coalizione nazionale dell’Unione della Birmania (NCGUB), composto da rifugiati dal Myanmar dopo le elezioni del 1990 vinte dalla Lega nazionale per la democrazia, e mai riconosciute dalla giunta. Fuggito in India nel 1990, dal 21 dicembre 1991 Tint Swe vive a New Delhi, esercita la professione medica e ha il ruolo di responsabile per l’informazione sull’Asia del Sud e Timor Est nel Consiglio.
Ecco, di seguito, l’intervista rilasciata da Tint Swe ad AsiaNews:
Come giudica i recenti sviluppi in Myanmar?
Le ultime vicende avvenute in Birmania sono davvero interessanti. Un allentamento delle restrizioni, gli incontri con Aung San Suu Kyi, il rilascio di prigionieri politici e via dicendo sono notizie positive. Tuttavia, va ricordato che i detenuti politici liberati non avrebbero dovuto nemmeno essere arrestati. Le restrizioni sui media creavano difficoltà al regime e sono state allentate. Mettere in un angolo Aung San Suu Kyi si è rivelato controproducente per la giunta al fine di un mantenimento del potere, per questo hanno deciso di percorrere una via alternativa. Voglio precisare che i cosiddetti “sviluppi positivi” non sono dovuti a un cambiamento del cuore e della mente dei dittatori, ma è solo un modo diverso e inusuale di conservare il potere.
Secondo lei, in un futuro prossimo la “Signora” ricoprirà un incarico pubblico o di governo?
Un ruolo “attivo” nella politica del Paese per Aung San Suu Kyi non è da riservare ad un futuro prossimo, perché è lei il cardine, il perno centrale attorno al quale ruotano i cambiamenti di quest’ultimo periodo. Tuttavia, lei è diversa rispetto a tutti gli altri, che aspirano a posizioni di comando. Lavora per il bene del Paese e del suo popolo. Non ha mai appoggiato i misfatti del regime militare. Per esempio, la sua lotta contro il mancato riconoscimento delle elezioni del 1990 non era giustificata dal fatto che il suo partito – la Lega nazionale per la democrazia (Nld) – avesse vinto, ma perché quella era la volontà espressa dalla gente birmana, in un voto libero e giusto. Ed è poi dovere del popolo scegliere se lei dovrà servire la nazione come “uomo di Stato” o meno. E questo non vuol dire che lei stia lavorando per acquisire una posizione all’interno della leadership politica.
Dottor Swe, quali sono le ragioni alla base dei recenti cambiamenti in Myanmar?
La storia insegna che il regime non si muove mai per il bene del Paese e del suo popolo, ma per garantire la sua stessa sopravvivenza. Le nuove mosse si inquadrano nella medesima logica. L’interruzione della costruzione della diga di Myistone prende due piccioni con una fava: quanti si opponevano sono soddisfatti e il presidente ha raggiunto lo scopo. La Cina è stata accontentata con un compenso. Ma quei soldi non usciranno dal portafoglio del presidente, ma dai poveri che dovranno pagare ancor più tasse. Il rilascio di prigionieri di alto profilo è un provvedimento temporaneo. Tutti possono essere arrestati nuovamente in qualsiasi momento e ribeccarsi condanne di lungo termine. La decisione sulla presidenza Asean (blocco che riunisce 10 Paesi del Sud-est asiatico) spetterà ai vertici delle nazioni delle nazioni interessate. E se l’Asean chiederà altri passi, questi verranno probabilmente compiuti. Questo significa che l’uso di una semplice politica “costruttiva” non porta a cambiamenti nel regime, ma sono le pressioni e le prove di forza che lo spingono a farlo. Per questo, se il blocco occidentale continua a chiedere vere riforme sì… arriveranno altri cambiamenti. La politica della riconciliazione ha fallito.
La Cina resta sempre il principale partner commerciale del Myanmar. A suo avviso, il governo è alla ricerca di altri interlocutori?
Il regime birmano ha giocato la carta della Cina senza una visione strategica di lungo periodo. Una scelta pericolosa per la nazione. I generali in qualche modo hanno cercato di bilanciare questo rapporto, ma ormai è troppo tardi e – fatto ancor più importante – un riequilibrio non potrà essere certo raggiungo solo dall’esercito. Quando si tratta di interessi nazionali, raggiungere questo obiettivo si rivela impossibile senza una vera forza politica, che rappresenti davvero la maggioranza della popolazione.
Secondo lei la leadership birmana fa il doppio gioco?
È un dato di fatto storico che il regime militare non è mai stato serio e sincero. L’attuale amministrazione semi-civile, ma pur sempre composta e sostenuta dall’esercito, potrà o meno comportarsi in modo diverso dalla giunta che ha tenuto il potere in passato. Serviranno decenni per valutare il nuovo capitolo della storia del Paese. Per questo è poco saggio e pericoloso dare piena fiducia in questo momento all’attuale governo.
Che ruolo ricopre il generalissimo Than Shwe? Sembra ormai un'ombra del passato...
Il generale Saw Maung, successore del generale Ne Win, ha messo in un angolo Ne Win e lo ha fatto morire in disgrazia. Poi è arrivato Than Swe e ha cacciato Saw Maung, lasciandolo morire in preda a crisi di nervi. Per questo non si può escludere che Thein Sein – un ex militare – faccia lo stesso con Than Shwe. Tutti i dittatori costruiscono il loro potere dalle fondamenta e, se necessario, eliminano i capi quando diventano un ostacolo.
Quale futuro immagina per il Myanmar…
Il Paese sta lentamente uscendo dai suoi giorni più bui. E il merito non è certo del presidente Thein Sein o del nuovo Parlamento. Tutti gli sviluppi positivi sinora registrati sono il risultato dell’opera di quanti si sono sacrificati e hanno lavorato duramente per il bene della nazione. La qualità e la quantità della forza pro-democrazia è in continuo aumento. Vent’anni di feroce tirannia non hanno minato questa forza. Il futuro della Birmania dipende da loro, non certo da quanti operano nella capitale Naypyidaw.
Intanto dal fronte interno arrivano altri segnali che inducono al cauto ottimismo: è di questi giorni la notizia secondo cui il presidente avrebbe firmato una nuova legge sul lavoro, che l’Ilo (Organizzazione internazionale per il lavoro) definisce “un passo avanti enorme per il Paese”. La norma emanata da Thein Sein abroga la draconiana Trade Unions Act del 1962 – anno in cui salì al potere la prima dittatura militare in Birmania – che proibiva la formazione di associazioni sindacali. Ora i lavoratori birmani hanno il diritto di scioperare, con un preavviso di tre giorni nel privato e di 14 nel pubblico.
Per approfondire gli sviluppi della politica birmana, le prospettive del cammino democratico e il ruolo del Myanmar sulla scena internazionale, AsiaNews ha intervistato Tint Swe, membro del Consiglio dei ministri del governo di coalizione nazionale dell’Unione della Birmania (NCGUB), composto da rifugiati dal Myanmar dopo le elezioni del 1990 vinte dalla Lega nazionale per la democrazia, e mai riconosciute dalla giunta. Fuggito in India nel 1990, dal 21 dicembre 1991 Tint Swe vive a New Delhi, esercita la professione medica e ha il ruolo di responsabile per l’informazione sull’Asia del Sud e Timor Est nel Consiglio.
Ecco, di seguito, l’intervista rilasciata da Tint Swe ad AsiaNews:
Come giudica i recenti sviluppi in Myanmar?
Le ultime vicende avvenute in Birmania sono davvero interessanti. Un allentamento delle restrizioni, gli incontri con Aung San Suu Kyi, il rilascio di prigionieri politici e via dicendo sono notizie positive. Tuttavia, va ricordato che i detenuti politici liberati non avrebbero dovuto nemmeno essere arrestati. Le restrizioni sui media creavano difficoltà al regime e sono state allentate. Mettere in un angolo Aung San Suu Kyi si è rivelato controproducente per la giunta al fine di un mantenimento del potere, per questo hanno deciso di percorrere una via alternativa. Voglio precisare che i cosiddetti “sviluppi positivi” non sono dovuti a un cambiamento del cuore e della mente dei dittatori, ma è solo un modo diverso e inusuale di conservare il potere.
Secondo lei, in un futuro prossimo la “Signora” ricoprirà un incarico pubblico o di governo?
Un ruolo “attivo” nella politica del Paese per Aung San Suu Kyi non è da riservare ad un futuro prossimo, perché è lei il cardine, il perno centrale attorno al quale ruotano i cambiamenti di quest’ultimo periodo. Tuttavia, lei è diversa rispetto a tutti gli altri, che aspirano a posizioni di comando. Lavora per il bene del Paese e del suo popolo. Non ha mai appoggiato i misfatti del regime militare. Per esempio, la sua lotta contro il mancato riconoscimento delle elezioni del 1990 non era giustificata dal fatto che il suo partito – la Lega nazionale per la democrazia (Nld) – avesse vinto, ma perché quella era la volontà espressa dalla gente birmana, in un voto libero e giusto. Ed è poi dovere del popolo scegliere se lei dovrà servire la nazione come “uomo di Stato” o meno. E questo non vuol dire che lei stia lavorando per acquisire una posizione all’interno della leadership politica.
Dottor Swe, quali sono le ragioni alla base dei recenti cambiamenti in Myanmar?
La storia insegna che il regime non si muove mai per il bene del Paese e del suo popolo, ma per garantire la sua stessa sopravvivenza. Le nuove mosse si inquadrano nella medesima logica. L’interruzione della costruzione della diga di Myistone prende due piccioni con una fava: quanti si opponevano sono soddisfatti e il presidente ha raggiunto lo scopo. La Cina è stata accontentata con un compenso. Ma quei soldi non usciranno dal portafoglio del presidente, ma dai poveri che dovranno pagare ancor più tasse. Il rilascio di prigionieri di alto profilo è un provvedimento temporaneo. Tutti possono essere arrestati nuovamente in qualsiasi momento e ribeccarsi condanne di lungo termine. La decisione sulla presidenza Asean (blocco che riunisce 10 Paesi del Sud-est asiatico) spetterà ai vertici delle nazioni delle nazioni interessate. E se l’Asean chiederà altri passi, questi verranno probabilmente compiuti. Questo significa che l’uso di una semplice politica “costruttiva” non porta a cambiamenti nel regime, ma sono le pressioni e le prove di forza che lo spingono a farlo. Per questo, se il blocco occidentale continua a chiedere vere riforme sì… arriveranno altri cambiamenti. La politica della riconciliazione ha fallito.
La Cina resta sempre il principale partner commerciale del Myanmar. A suo avviso, il governo è alla ricerca di altri interlocutori?
Il regime birmano ha giocato la carta della Cina senza una visione strategica di lungo periodo. Una scelta pericolosa per la nazione. I generali in qualche modo hanno cercato di bilanciare questo rapporto, ma ormai è troppo tardi e – fatto ancor più importante – un riequilibrio non potrà essere certo raggiungo solo dall’esercito. Quando si tratta di interessi nazionali, raggiungere questo obiettivo si rivela impossibile senza una vera forza politica, che rappresenti davvero la maggioranza della popolazione.
Secondo lei la leadership birmana fa il doppio gioco?
È un dato di fatto storico che il regime militare non è mai stato serio e sincero. L’attuale amministrazione semi-civile, ma pur sempre composta e sostenuta dall’esercito, potrà o meno comportarsi in modo diverso dalla giunta che ha tenuto il potere in passato. Serviranno decenni per valutare il nuovo capitolo della storia del Paese. Per questo è poco saggio e pericoloso dare piena fiducia in questo momento all’attuale governo.
Che ruolo ricopre il generalissimo Than Shwe? Sembra ormai un'ombra del passato...
Il generale Saw Maung, successore del generale Ne Win, ha messo in un angolo Ne Win e lo ha fatto morire in disgrazia. Poi è arrivato Than Swe e ha cacciato Saw Maung, lasciandolo morire in preda a crisi di nervi. Per questo non si può escludere che Thein Sein – un ex militare – faccia lo stesso con Than Shwe. Tutti i dittatori costruiscono il loro potere dalle fondamenta e, se necessario, eliminano i capi quando diventano un ostacolo.
Quale futuro immagina per il Myanmar…
Il Paese sta lentamente uscendo dai suoi giorni più bui. E il merito non è certo del presidente Thein Sein o del nuovo Parlamento. Tutti gli sviluppi positivi sinora registrati sono il risultato dell’opera di quanti si sono sacrificati e hanno lavorato duramente per il bene della nazione. La qualità e la quantità della forza pro-democrazia è in continuo aumento. Vent’anni di feroce tirannia non hanno minato questa forza. Il futuro della Birmania dipende da loro, non certo da quanti operano nella capitale Naypyidaw.
Vedi anche