Esperto musulmano: “Basta con le fatwa che tradiscono lo spirito dell’islam”
di Nirmala Carvalho
Dopo una fatwa che impone alle donne di indossare il velo nei pubblici uffici, si apre in India il dibattito su islam e leggi coraniche. Ashgar Ali Engineer, del Centro studi per la società e il secolarismo, dice ad AsiaNews: “Serve un rinascimento musulmano”.
Mumbai (AsiaNews) – Rimanere legati a una concezione medievale della religione “non aiuta il mondo islamico e il mondo in generale. Invece di continuare a leggere l’islam tramite la shari’a e le leggi hudood, si dovrebbe compiere una rivoluzione culturale e religiosa: in questo modo, potremo evitare inutili fatwe e incomprensioni pericolose”. Lo dice ad AsiaNews Ashgar Ali Engineer, del Centro studi per la società e il secolarismo, commentando l’ultimo editto religioso musulmano emanato in Uttar Pradesh.
Sharif Mohd Ayyub Alem Rizvi, mufti di Darul Iftah, ha infatti dichiarato che le donne musulmane possono lavorare nelle istituzioni “soltanto ad alcune condizioni”, fra cui l’obbligo di indossare il velo. Inoltre, sostiene il giurista islamico, i musulmani “non possono lavorare nelle banche, perché gli interessi – che sono di fatto il profitto degli istituti bancari – sono contrari alla legge coranica.
Questa fatwa segue di pochi giorni un’altra, emessa dall’università islamica di Deoband, secondo cui una donna che lavori in un pubblico ufficio con degli uomini non può percepire stipendio: questo è infatti “haram”, proibito. Entrambe le fatwa – verdetti giuridici non vincolanti, che applicano alla lettera la shari’a coranica – sono state pubblicate sul diffuso quotidiano Times of India e hanno scatenato un lungo dibattito nella società indiana.
Ma Ali si chiede: “Perché applicare soltanto alle donne i limiti della legge religiosa? E poi, chi definisce i limiti e la loro applicazione? Per questi ulema, mettere insieme maschi e femmine è un atto di fitna, non religioso. Per loro, il carattere o l’integrità della donna in questione non ha alcun significato. Se si alza il velo e mostra la faccia in un luogo di lavoro misto, ecco che diventa impura”.
Eppure, sottolinea l’analista, “sono numerosissimi gli esempi, persino nella vita del Profeta, in cui uomini e donne hanno vissuto insieme. Hazrat A’isha ha persino guidato centinaia di soldati maschi durante la battaglia del Cammello. Shifa bin-e-Abdullah, anche lei donna, è stata nominata ispettore del mercato da Hazrat Umar e nessuno ha protestato: cosa fa, tratta soltanto con le donne?”.
Per la questione del velo, dice ancora Ali, “è tutto ancora più complicato. Il Corano, fonte primaria della shari’a, non si riferisce mai al velo per le donne in generale. Certo, dice che le donne “non devono mostrare in pubblico i loro ornamenti” (24:31), ma non spiega cosa sia un ornamento. Ogni commentatore, a seconda della propria formazione culturale, dà una risposta diversa. Non parla neanche di coprire la faccia: quasi tutti i musulmani sono d’accordo nel dire che faccia e mani possono rimanere scoperte”.
Inoltre, prosegue, “il Corano impone delle coperture anche agli uomini, di cui nessuno parla mai. L’islam ha preferito gettare tutta la responsabilità sulle donne, dicendo che se non si coprono compiono un reato religioso. Eppure, il nostro Libro dice chiaramente che gli uomini e le donne sono egualmente responsabili per i loro errori, e pagano allo stesso modo quando sbagliano”.
L’intero diritto islamico, conclude, “deve essere riletto alla luce del vero spirito del Corano. Inoltre, ognuno dei fedeli deve sviluppare la propria metodologia quando legge, interpreta e applica i dettami della religione. Ma questo impone che venga letto tutto il Libro, con onestà, e non soltanto alcune parti. Come fanno i nostri commentatori”.
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