Ergenekon, la Norimberga dei militari turchi
Ankara (AsiaNews) - Con l'annuncio delle sentenze con le quali sono state condannate 275 persone tra militari e civili, accusate per il loro coinvolgimento nell' affare Ergenekon (l'organizzazione segreta che cospirava per destabilizzare il governo di Erdogan con una serie di azioni eversive, compreso l' assassinio del Patriarca ecumenico Bartolomeo) si chiude uno dei capitoli più sensazionali della storia della Turchia moderna.
Nel corso delle pluriennali indagini sul caso sono state arrestate circa 500 persone, prevalentemente militari, con l'accusa di voler rovesciare il governo di Erdogan. E non sono poche le voci che hanno parlato di una pesante speculazione da parte del governo dell'Akp al fine di indebolire la presenza della burocrazia militare e civile negli affari politici in Turchia, speculando sulla tradizione golpista "alla turca" delle alte gerarchie militari.
Lo stesso primo giudice dell'affare Ergenekon Kioskal Sengun (successivamente allontanato dall'incarico) ha dichiarato: "Durante il processo non sono stati trovati dei collegamenti diretti con gli atti per i quali sono stati accusati". Un processo insomma che ha assunto un carattere piuttosto politico.
Il livello delle multe comminate e soprattutto la condanna all'ergastolo per l'ex capo delle Forze armate turche, generale Ilker Basbug, sono stati interpretati come l'assoluta prevalenza del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan contro il potente (un tempo) establishment militare, controllore della visione kemalista della Repubblica turca.
Quel kemalismo che ha fondato la democrazia turca sul dogma ottomano di uno Stato paternalistico e statalista, ma con l'aggiunta di un esasperato nazionalismo e concetto di laicità. Una laicità però non basata sulla separazione tra Stato e religione, ma al contrario un tipo di laicismo che voleva sottomettere la religione al controllo dello Stato.
Motivo per cui aveva pensato bene di unificare forzatamente le diverse scuole della religione musulmana dell'Impero ottomano sotto lo slogan "Una razza, una nazione, una lingua". Le altre comunità non musulmane furono scientificamente epurate con i vari pogrom.
In altre parole ha imposto un modello "occidentale alla turca", per cui la religione islamica va messa sotto il controllo dello Stato. "Alla turca" perché in questo Paese tutto è stato imposto dall'alto, senza alcun processo democratico. D'altronde la presenza dell'esercito turco nella gestione degli affari politici ha avuto la funzione di reprimere ogni deviazione dalla via retta imposta.
Il potere kemalista nella sua lunga storia è stato corroborato dall'onnipotente presenza dei vari meccanismi statali. Il movente per cui, secondo l'analista Stavros Lygeros, Kemal aveva voluto sottomettere sotto controllo il fattore religioso non era soltanto ideologico ma anche pratico. Perché in questo modo tolse agli sceicchi e alle varie compagnie religiose musulmane - perni del potere del Califfato dato che il sultano era, come noto, il capo politico-religioso di tutti i musulmani - la loro forza, che fungeva da ostacolo al suo potere.
Ma se quella Turchia cosiddetta profonda, che viveva e vive in maggioranza al di fuori dei grandi centri urbani, aveva accettato per puri motivi di sopravvivenza, dopo il crollo dell'Impero ottomano, questo nuovo modello giustamente definito turco-islamico, ciò non significava che l'aveva anche assorbito
E questa grande massa della Turchia profonda, dopo vari tentativi stroncati con dei golpe militari, si è presa la sua rivincita proprio con Erdogan, il quale ha toccato il suo apice con la strabiliante vittoria elettorale del 2011e che ha avuto anche il supporto elettorale (ma non ideologico) di quegli strati della borghesia urbana che disprezzavano la burocrazia politico-militare.
Perché il neo-Ottomanesimo di Erdogan non è la rinascita vera e propria dell'Impero, ma è un surrogato ideologico che vuol costituire una sintesi di kemalismo e islam politico. Questa ideologia è il risultato di una certa osmosi che si sta verificando da alcuni decenni in Turchia tra una parte dei kemalisti e una parte dell'islam politico turco. Va messo in rilievo che mentre l'economia kemalista faceva perno su una concezione statalista dell'economia, i seguaci dell'islam politico abbracciano le idee economiche liberiste.
Dunque questa pesantissima sentenza, indipendentemente dall'esito dell'appello a cui faranno ricorsi i condannati, segna una svolta negli affari politici in Turchia. Segna la fine definitiva del regime kemalista , ma segna anche l'inizio della continua contestazione, dopo i recenti e continui fatti di Gezi Park, del nuovo modo di concepire ed esercitare il potere in Turchia: quello satrapico.
A proposito degli ultimi fatti risuonano in maniera pesante le parole del Premio Nobel turco Orhan Pamuk, il quale ha ricordato che se per decenni non si è potuto accettare il controllo della gestione degli affari politici da parte dei militari, allo stesso modo non si può accettare la concezione politica dei provinciali divenuti onnipotenti.