Erdogan soddisfatto per le promesse di Bush sulla questione curda
Ankara (AsiaNews) - E’ rimpatriato soddisfatto il primo ministro turco Tayyip Erdogan dall’incontro di ieri con Bush alla Casa Bianca. “Grazie a Dio, abbiamo ottenuto quanto volevamo” è stato il suo commento a caldo, appena sbarcato in Turchia. Nel colloquio durato un’ora e mezza, a tema era la scottante questione del “terrorismo del PKK” e l’operazione militare che l’esercito turco vuole lanciare oltrepassando il confine con l’Irak, dove si ritiene siano rifugiati i militanti del PKK (Partito dei Lavoratori Curdi). Fondato da Ocalan, esso è ritenuto un’organizzazione terroristica che da anni miete vittime civili e militari nell’est della Turchia.
Da settimane, soprattutto dopo gli scontri nella notte del 20 ottobre scorso, la popolazione turca si è mobilitata con oceaniche manifestazioni rabbiose contro il PKK e più in generale contro i curdi, innescando un odio pronto ad esplodere come una bomba ad orologeria. Di fronte a tale incontrollata emotività, il governo turco ha cercato di calmare gli animi, tentando di gestire l’ondata di nazionalismo e di linciaggi ingiustificati diffusisi nel paese. senza cancellare però l’intenzione di un intervento militare oltre confine, voluto e sostenuto dalla gente.
Erdogan si è recato a Washington, consapevole che senza il consenso e il sostegno degli Stati Uniti, ben poco possono fare i centomila soldati turchi schierati sul confine nord-iracheno e pronti a combattere. Oltre a tutti gli intrighi della regione montagnosa, essi si troverebbero ostacolati dai peshmerga del Kurdistan, armati dagli americani.
Gli Usa hanno lanciato da tempo messaggi concilianti, per calmare gli animi e cercare vie diplomatiche di fronte a questo conflitto, nel timore che l’obiettivo della Turchia non sia solo il PKK, ma la destabilizzazione di tutto lo stato curdo del nord Iraq.
Ieri Bush ha dichiarato la disponibilità degli Usa a combattere insieme contro i comuni nemici della Turchia, dell’Iraq e dell’America stessa. I giornali di oggi titolano a tutta pagina: “Semaforo verde”. E spiegano: “Turchia, America e Iraq si attrezzeranno insieme per contrastare il PKK; insieme ostacoleranno l’invio di armi e di attrezzature belliche a questa organizzazione terroristica e insieme taglieranno il sostegno materiale con sanzioni economiche e l’embargo”. Da parte sua Bush ha ribadito che l’amicizia tra la Turchia e gli Stati Uniti è troppo importante per essere distrutta dal terrorismo.
Cosa implichi questo segnale di “via libera”, ancora non si può sapere. Lo stesso Erdogan si augura che il sostegno di Usa e Iraq si renda inutile uno scontro armato: “Il nostro obiettivo – ha ribadito più volte – non è iniziare una guerra, ma sconfiggere l’organizzazione terroristica del PKK”.
Quasi come primo frutto di questo accordo, nei giorni scorsi vi è stata la liberazione degli 8 militari turchi catturati dal PKK il 20 ottobre scorso. I militari sono stati consegnati ad Erbil, nel Nord Iraq, ad una delegazione che comprendeva anche tre deputati del Partito della Società Democratica (DPT).
In molti sperano che questo sia un segnale di distensione, per cercare nuove vie diplomatiche per risolvere questa crisi nazionale e internazionale.
L’impressione è però che il governo turco non sia ancora pronto ad un piano globale, un’azione politica di ampio respiro e di grandi obiettivi, che risolva alla radice la questione curda che affligge la nazione da decenni, prima di tutto come problema di minoranza etnica da tutelare e valorizzare.
Proprio oggi a Bruxelles la commissione europea si è pronunciata sui progressi che la Turchia ha compiuto in questo ultimo anno in campo economico e sociale, in vista del suo possibile ingresso in Europa. Vi sono ancora tanti nodi da sciogliere, tra cui, appunto, la libertà di espressione e la tutela dei diritti delle minoranze etniche e religiose.