09/09/2009, 00.00
TURCHIA - IRAQ
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Erdogan lavora per risolvere in pace la questione curda

di Geries Othman
Vi sono promesse di amnistia, aiuti economici, emendamenti alla costituzione. Ma intanto proseguono le operazioni militari anche al confine con l’Iraq. Ma proprio lo sviluppo del Kurdistan irakeno sembra spingere alla pace e alla diplomazia, neutralizzando i militari.

Ankara (AsiaNews) - Ancora scontri, ancora morti tra i ribelli del PKK (Partito dei Lavoratori Curdi) e l’esercito turco. Stamattina la nazione turca si è nuovamente risvegliata con il bollettino di guerra: 11 terroristi e 7 militari morti nella provincia di Hakkari, l’estrema punta sud orientale della Turchia a confine con l’Iraq. Ed è uno stillicidio quotidiano da entrambe le parti.

Dal 1984 a oggi sono più di 45mila le vittime del conflitto fra separatisti curdi ed esercito governativo, in un susseguirsi continuo di tregue ed escalation belliche. Ultima tra tutte la massiccia campagna militare contro basi del PKK nel nord dell’Iraq, che dall’inizio dell’anno 2008 ha portato le truppe di Ankara a lanciare una serie di incursioni lungo i territori al confine iracheno per debellare le postazioni dei ribelli. A nulla è valsa, se non a moltiplicare il numero dei morti tra civili, militari e ribelli, inasprendo gli animi e le tensioni.

I tentennamenti di Erdogan e dei militari

Nei confronti della “questione curda”[1] il premier Erdogan ha un curriculum altalenante. 

Subito dopo le elezioni del 2002 il suo governo aveva iniziato a lavorare su un progetto di pacificazione. All’inizio le cose sembravano andare per il verso giusto; nel 2005, in un discorso a Diyarbakir promise di interessarsi alla popolazione curda per assicurar loro pace e benessere sociale ed economico. Ma poi la burocrazia civile e militare si sono intromessi ed il progetto si è arenato.

Dai primi di luglio di quest’anno, il primo ministro turco è tornato però a lanciare la sua proposta per un “Piano turco”, nella consapevolezza che la questione curda in Turchia non si potrà risolvere con la forza militare, ma con il dialogo e la trattativa diplomatica.

Non si sa ancora di preciso in cosa consista questo piano, ma l’esecutivo del Partito di Giustizia e Sviluppo (AKP) ha promesso di presentare il suo elaborato a fine settembre. Si parla di un’amnistia generale per i combattenti del PKK, di emendamenti alla Costituzione turca (a partire dalla ridefinizione del concetto di cittadinanza fissato dall’art.7), di promozione dello sviluppo economico nel sud-est curdo del Paese (anche con un programma di “ritorno nei villaggi”) e di un vertice tra il premier Recep Tayyip Erdogan e i deputati del filo-curdo DTP (Partito della Società Democratica).Determinante sarà l’amnistia generale per convincere quelli del PKK a deporre le armi e scendere dalle montagne. E questa volta pare che il Governo faccia sul serio. Dopo il primo fondamentale passo del “cessate il fuoco”, occorrerà inaugurare una nuova stagione nelle relazioni con le autorità irachene. La pace con il Kurdistan irakenoIn realtà la situazione nata in questi ultimi mesi è nuova . Essa segue la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dall’Iraq e le prospettive di nuovi accordi economici riguardanti le fonti energetiche. La situazione è paradossale. Da una parte, per tradizione, la paura principale della Turchia, specie dei militari, è la possibile creazione di uno Stato curdo in Iraq. Dall’altra, dalla prima guerra del Golfo, con il venir meno dell’autorità centrale nel Nord Iraq, si è concretizzata di fatto una regione curda, che la Turchia ha di fatto contribuito a formare con investimenti, cantieri, costruzioni, imprese turche, commercio di prodotti turchi; per non parlare dei lavoratori immigrati dalla Turchia. La Turchia si vede perciò costretta a mantenere buone relazioni con l’Iraq ed il Kurdistan iracheno, per gli interessi economici lì sviluppatisi. Ed è ovvio che perché investitori turchi e curdo-iracheni stringano relazioni commerciali e per un uso condiviso delle risorse idriche, è necessario che l’area sia sicura e pacificata.

Per questo motivo i sostenitori della pace aumentano di giorno in giorno e i guerrafondai diminuiscono sempre più. Pare che il 45% dei turchi sostenga ormai un’apertura del governo ai curdi, alla ricerca di una soluzione pacifica duratura.

Pure l’esercito - la cui immagine si offusca sempre più dietro una serie di rivelazioni riguardanti tentati golpe e operazioni inconcludenti contro il PKK – pare ritirarsi.  Ilker Basbug, capo di stato maggiore, ha addirittura ammesso da tempo che i mezzi militari da soli non possono risolvere il problema curdo.

Ocalan stesso – che trent’anni fa fondò il PKK - dall’isola di Imrali nel mare di Marmara, dove si trova incarcerato da una decina di anni, ha promesso di lanciare una propria “road map” per la pace. Da voci indiscrete si pensa si tratti di proposte sul disarmo e sulla reintegrazione politica dei membri del suo partito, con la contropartita del riconoscimento della nazionalità ai curdi che abitano in Turchia.

I curdi iracheni, d’altro canto, sembrano intenzionati a contribuire al disarmo e al re-impatrio di ben 3-5mila combattenti del PKK presenti sul loro territorio, qualora ci fosse la proposta di amnistia.

Ancora una volta, ad opporsi a questo “piano di democrazia e di pace” sono i due partiti di opposizione il MHP e il CHP, il primo a difesa dell’ultraintransigente nazionalismo, il secondo per salvaguardare l’unità della Turchia e la rivoluzione culturale kemalista. 

 

[1]  La “questione curda” riguarda la situazione di 30 milioni di persone che vivono in un’area che si estende fra Turchia, Iraq, Iran, Armenia e Siria. La maggior parte dei curdi (circa 12 milioni) è concentrata nel territorio della Turchia orientale. Con il disgregarsi dell’impero ottomano e con il trattato di Sèvres le potenze occidentali promettono ai curdi uno Stato autonomo. Ma la promessa non viene mantenuta. Da allora i curdi combattono per la loro autodeterminazione. La lotta si è intensificata – anche con attacchi terroristi e di guerriglia - dal 1974 quando è stato varato il Partito del Lavoratori del Kurdistan (PKK). La minoranza curda in Turchia è rappresentata a livello politico dal Demokratik Toplum Partisi (DTP), che ha il suo centro a Diyarbakir, nel Kurdistan turco.

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