Erdogan a Beirut, un mediatore alla ricerca del neo-ottomanesimo
Politici e opinione pubblica plaudono al premier turco che ricorda gli storici legami che uniscono i due Paesi e dice di voler fare “di tutto” per conservare unità e pace al Paese dei cedri. Per il primo ministro di Ankara questa è una tappa nel cammino di riaffermazione del ruolo della Turchia nella regione.
Beirut (AsiaNews) – Tutti i politici plaudono, in Libano, a Recep Tayyip Erodgan, al secondo giorno della sua visita nel Paese: i giornali dei diversi e opposti fronti sottolineano le sue frasi di essere pronto a “fare di tutto” per evitare che il Paese ripiombi nella guerra civile e sulla “storica” amicizia tra turchi e libanesi. Alla gente piace. Con la prevista eccezione degli armeni (in Libano ce ne sono circa 150mila) che hanno inscenato una controllatissima manifestazione per tornare a chiedere il riconoscimento del genocidio compiuto dai turchi contro il loro popolo.
Armeni a parte, il plauso generale vede però letture molto differenti sul significato politico della presenza del premier turco. Se il muftì della Repubblica, cheikh Mohammad Rachid Kabbani, ha detto che la visita “permette di avere speranza, di istaurare la sicurezza nel Paese e consolidare la concordia nazionale”, per Simon Haddad, analista politico dell’Università americana di Beirut, essa è “un sostegno a Hariri e alla sua politica”, in quanto “la Turchia può fare pressioni su Siria e Iran per spingere Hezbollah ad abbassare i toni”. Invece secondo Talal Arslan, (che fa parte del gruppo dell’”8 marzo”) la sua visita “completa quella compiuta da poco dal presidente iraniano Ahmadinejad” e insieme “sono un messaggio rivolto a Israele e un rafforzamento del triangolo di forza turco, siriano e iraniano” che porterà dei mutamenti nella regione.
Di certo, per Erdogan quella libanese è una tappa nel cammino del cosiddetto neo-ottomanesimo, che mira a restituire al Paese un ruolo fondamentale nella regione e nell’intero mondo islamico, cercando di non allontanarlo troppo dall'Occidente. In tale prospettiva va visto l’avvicinamento all’Iran e alla Siria - lo stesso Erdogan ha sottolineato di aver sentito, prima dell’arrivo a Beirut il presidente siriano, col quale si consulterà a visita finita – e il pratico congelamento dei rapporti con Israele, col quale Ankara ha regolari rapporti diplomatici. La Turchia è una potenza regionale con un peso globale in vari campi, ha detto oggi il premier libanese, Saad Hariri.
In questo ruolo che sta cercando di costruirsi, il premier turco, arrivato ieri, ha incontrato tutte le componenti dell’establishment: il presidente della Repubblica, Michel Suleiman, il primo ministro Saad Hariri e il presidente del Parlamento Nebih Berri. Cristiano il primo, sunnita il secondo, sciita il terzo.
Erdogan ha anche affrontato quello che, in questi giorni, è il motivo dominante della politica libanese: le annunciate prossime incriminazioni da parte del Tribunale speciale per il Libano, sostenuto dall’Onu, per l’assassinio dell’ex premier Rafic Hariri. Un citatissimo servizio della televisione canadese CBC ha anticipato che a finire sotto accusa saranno uomini non di secondo piano di Hezbollah. Il Partito di Dio ha reagito con estrema durezza, invitando al boicottaggio del Tribunale, minacciando di “tagliare le dita” a chiunque tenti di toccare uno dei suoi membri e di uscire dal governo di unità nazionale. La questione è presa molto sul serio anche da Israele: si parla di una riunione a porte chiuse, ieri, del governo per esaminare la possibilità che, messo sotto accusa, Hezbollah compia un colpo di Stato o magari provochi un altro conflitto, che allontanerebbe l’attenzione dalle imputazioni.
A proposito del Tribunale, Erdogan da una parte ha molto parlato di “stabilizzare” la situazione libanese, ma dall’altro ha ricordato che esso ha alle spalle una mozione del Consiglio di sicurezza e “nessuno può cambiare questo”. (PD)
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