Entusiasmo e partecipazione degli iraniani per l’elezione del nuovo capo dello Stato
Si vota venerdì, con eventuale ballottaggio il 19. Ahmadinejad cerca la conferma contro l’ex premier “riformista” Mousavi. Più delle scelte di 46 milioni di elettori sarà importante la preferenza della Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, che potrebbe non condividere la linea dura dell’attuale presidente verso gli Stati Uniti.
Teheran (AsiaNews) - Strade piene di sostenitori dell’uno o dell’altro candidato, automobili rivestite di foto e colori dei diversi gruppi e di bandiere nazionali, centinaia di giornalisti di 44 Paesi. L’Iran si prepara a scegliere, venerdì prossimo, 12 giugno, il suo prossimo presidente della Repubblica. Voto importante per gli equilibri non solo del Medio Oriente e che si avvicina in un’atmosfera di partecipazione ed entusiasmo che viene definita simile a quella dei tempi della rivoluzione khomeinista del 1979. Si prevede “una partecipazione record” al voto, ha sostenuto Kamran Daneshjoo, presidente del Comitato elettorale, citato dall’agenzia ISNA. Secondo il Ministero degli interni a poter partecipare sono 46,2 milioni di persone. Avranno a disposizione 45.713 urne elettorali. Sezioni per votare sono state istituite anche in cinque città della Turchia.
A correre davvero per divenire il prossimo capo dello Stato sono solo due dei quattro candidati ufficiali: l’attuale presidente Mahmoud Ahmadinejad e l’ex premier Hossein Mousavi, descritti come esponenti del gruppo conservatore e di quello riformista. Saranno loro, per unanime previsione, a confrontarsi nel ballottaggio che si svolgerà il 19, se nessun candidato avrà raggiunto la maggioranza del 50 per cento più uno dei voti.
L’entusiasmo popolare per il voto, a giudizio di un deputato, Ghodratollah Alikhani, sentito da Rooz, giornale on line di opposizione al regime degli ayatollah, fa prevedere che “Mousavi vincerà con un ampio margine”. Ma Amir Taheri, giornalista iraniano costretto a vivere all’estero e profondo conoscitore della politica del suo Paese, in un articolo su Asharq Alawsat sostiene che il risultato non è affatto sicuro. Egli sottolinea che, in realtà, il potere più alto non è il presidente della Repubblica, ma la Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, per cui, se Khameni puntasse anche questa volta su Ahmadinejad, un voto contro l’attuale presidente sarebbe un voto contro la Guida suprema.
Quattro anni fa, prosegue l’articolo, Ahmadinejad non era “la prima scelta” di Khamenei, che lo appoggiò solo al momento del ballottaggio. Ma, in questi anni, tra i due si è sviluppata una stretta relazione e Ahmadinejad si è guadagnato una qualche ammirazione, “data di malavoglia”. Una sorpresa è dunque sempre possibile.
Si prospettano allora due scenari. Nel primo, Khamenei si convince che Ahmadinejad ha svolto il suo compito e può essere rimandato a casa. A favore dell’attuale presidente, l’avere, in questi quattro anni, rivitalizzato il regime e tenuto testa agli Stati Uniti e ai loro alleati sulla questione del nucleare, tanto da costringere Obama a cambiare la politica di opposizione dura portata avanti da Bush. Ma Ahamadinejad ha il difetto di non sapersi accontentare e fermare ed è inoltre convinto che gli Stati Uniti siano “finiti” come unica superpotenza. La ricerca di un accordo con Washington è dunque inutile. Khamenei non sembra condividere questa convinzione e potrebbe invece essere favorevole ad accordi almeno parziali con gli Usa. E questo lo porterebbe a bocciare Ahmadinejad, con tutte le conseguenze che ciò avrebbe sulla politica internazionale.
Se non fosse questa la scelta della Guida suprema, in teoria potrebbe essere il popolo iraniano a mandare a casa Ahmadinejad. Ma, ed è il secondo scenario, per realizzare tale obiettivo la popolazione non dovrebbe solo votare a favore di Mousavi, ma anche trovare un paio di milioni di volontari da lasciare all’interno dei seggi finché tutti i voti saranno scrutinati e contati, per evitare “manipolazioni” dei risultati. Qualcosa del genere accadde nel 1997, quando Muhammad Kathami divenne presidente contro il candidato di Khamenei, che era Nateq-Nuri.
A differenza di allora, mentre Kathami era popolare e Nateq-Nuri non lo era, nessuno degli oppositori di Ahmadinejad appare godere di un vasto seguito personale.
Particolare, ma non secondaria, una preoccupazione espressa da Abdol-Karim Lahidji, vicepresidente della Federazione internazionale delle Leghe per i diritti umani. Iraniano, avvocato di primo piano, costretto a lasciare il suo Paese nel 1980, ha chiesto che i candidati alla presidenze “non dimentichino le promesse” che hanno fatto durante la campagna elettorale in materia di diritti umani. “Ma non ci spero molto”, ha aggiunto.
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