29/02/2016, 13.16
INDONESIA
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Emergenza in Indonesia: formare nuovi politici cattolici

di Mathias Hariyadi

J. Kristiadi, analista politico, ha parlato ad un incontro organizzato dalla Commissione episcopale per l’apostolato dei laici: “La classe politica è debole e abietta. La Chiesa deve educare le nuove generazione a fare qualcosa per il bene comune”. Arcivescovo di Ende: “La politica non è solo ‘sporca’ come si vuole far credere”.

Jakarta (AsiaNews) – La Chiesa cattolica indonesiana e la Conferenza episcopale (Kwi) non hanno più progetti per la formazione di giovani politici cattolici, e questo ha provocato un abbassamento della qualità dei legislatori, con conseguente danno della vita delle persone. Per J. Kristiadi, famoso analista politico cattolico, la necessità di organizzare scuole per educare i giovani alla politica con dignità e onesta, è un’emergenza che la Chiesa deve affrontare. Kristiadi ha parlato ad un incontro, organizzato dalla Commissione per l’apostolato laico della Kwi, cui hanno partecipato politici cattolici di diversi partiti.

Secondo Kristiadi, al presente l’Indonesia manca di giovani e talentuosi politici di fede cattolica. Ce ne sono alcuni, ma essi non hanno grande peso politico e alcuni sono coinvolti in casi corruzione e incompetenza. Questo, afferma l’analista politico, è “colpa” di una mancata strategia a lungo termine della Kwi. Per questo, la Chiesa deve investire tempo, soldi e risorse per produrre una classe politica nuova che possa contribuire al bene comune.

J. Kristiadi ha una lunghissima esperienza nel campo della politica, essendo stato a stretto contatto con molti politici cristiani di diversi partiti, divenendo il loro mentore. Per mostrare l’attuale debolezza della classe politica, collusa e interessata solo al denaro, Kristiadi ha portato come esempio la proposta di revisione delle leggi anticorruzione di cui il Parlamento sta discutendo in questi giorni. Secondo l’analista cattolico, il presidente Joko Widodo sarebbe contrario alla revisione, ma vi è spinto da politici del suo partito democratico (Pdip) per interessi di terzi.

Come esempi positivi Kristiadi, cita le iniziative di due sacerdoti gesuiti durante il periodo più nero della storia indonesiana: appena dopo la salita al potere del generale Suharto, fra il 1966 e il 1968 due milioni di persone furono uccise perché accusate di “comunismo”. In quel frangente, p. Joseph Beek, olandese, organizzò un programma di un mese, chiamato “Kasebul”, per formare nuovi politici cattolici che potessero unirsi al partito al potere, il Golkar. Un’esperienza simile fu “Retnas”, pensata dal sacerdote svizzero Franz Daehler: un mese di ritiro per preparare intellettuali cattolici a contrastare l’ideologia comunista e ad inserirsi nella scena pubblica.

Mons. Vincentius Sensi Potokota, arcivescovo di Ende e membro della Commissione per l’apostolato dei laici, condivide le preoccupazioni di Kristiadi, affermando però che cambiamenti di strategia sono già avvenuti nella provincia di East Nusa Tenggara dove, dopo anni di sconfitte alle urne, sono stati eletti alcuni rappresentanti cattolici: “La Chiesa cattolica – afferma l’arcivescovo – e in particolare le parrocchie e il loro fedeli, devono aprire di più la mente, e capire che la politica non è ‘sporca’ come pensano di solito gli indonesiani. Essa può essere uno strumento per intervenire nel sistema politico e produrre azioni che favoriscano il bene comune”.

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