Elezioni parlamentari a Bishkek: si ricontano i voti
Cinque partiti hanno raggiunto la soglia del 5% dei voti, un sesto partito, rimasto fuori per poche centinaia di voti, ottiene la nuova verifica. Appare difficile la formazione del governo, con i seggi divisi tra partiti in forte opposizione. Il ruolo di Russia e Stati Uniti.
Bishkek (AsiaNews/Agenzie) – Rimane incerta la situazione politica in Kirghizistan, dopo che le elezioni del 10 ottobre hanno visto 5 partiti spartirsi i 120 seggi del parlamento. I partiti vincitori hanno approvato un nuovo conteggio dei voti, che potrebbe consentire anche al partito nazionalista Butun Kyrgyzstan (Bk) di avere seggi.
Le legge elettorale assegna seggi solo ai partiti che raggiungono almeno il 5% dei voti su base nazionale (oltre che una percentuale dello 0,5% in ognuno dei 9 distretti elettorali). Il Partito Bk ha raggiunto il 4,84%, ma il 12 ottobre centinaia di suoi sostenitori sono scesi in piazza chiedendo un nuovo conteggio, convinti di avere avuto più voti e che, peraltro, il numero totale dei votanti sia inferiore al dato ufficiale che indica la percentuale comunque bassa del 57% di votanti. Ciò permetterebbe al Bk di raggiungere il quorum del 5%.
La soglia del 5% è stata superata da 5 partiti sui 29 presentatisi, con percentuali che vanno dall’8,8% al 6% circa; per cui questi 5 partiti insieme raccolgono meno della metà dei votanti, anche se si sono spartiti tutti i seggi. Sono il nazionalista Ata-Jurt (che secondo le proiezioni della Commissione elettorale centrale dovrebbe avere 29 seggi dei 120 da assegnare), ritenuto simpatizzare per l’ex presidente Kurmanbek Bakiyev cacciato durante le proteste dello scorso aprile; il Partito Socialista Democratico che sostiene il governo provvisorio (26 seggi), il partito Ar-Namys di opposizione e filo-russo e l’altro partito Respublika su posizioni non di governo né di opposizione (che dovrebbero avere 23 seggi ciascuno) e il partito pro-governo Ata-Meken di Omurbek Tekebayev (19 seggi), principale autore della nuova Costituzione che ha trasformato il Paese da repubblica presidenziale a parlamentare, cambiamento approvato a giugno dal 90% dell’elettorato, ma non gradito da Mosca.
I leader di Ata-Jurt e Ar-Namys hanno già dichiarato di voler reintrodurre la repubblica presidenziale. Sarà necessario un governo di coalizione per avere i 61 seggi di maggioranza, ma un accordo appare complesso viste le differenze anche notevoli tra alcuni partiti e le forti personalità dei loro leader. Tutti prevedono che le trattative potranno richiedere settimane.
Il nuovo governo sostituirà quello ad interim guidato da Roza Otunbayeva, insediatosi con la cacciata di Bakiyev. Se non si dovesse raggiungere un accordo, la Otunbayeva potrebbe sciogliere il parlamento e indire nuove elezioni. Peraltro molti esperti osservano che il governo provvisorio non ha mai avuto una vera coesione, essendo nato in fretta dalla riunione di vari oppositori di Bakiyev, e si è andato sgretolando dopo la riforma costituzionale di giugno.
Il nuovo governo dovrà affrontare problemi gravi, con l’economia da anni in difficoltà e la povertà diffusa con molte famiglie ormai ai limiti della sussistenza. Dovrà pure affrontare una difficile opera di riconciliazione nazionale, dopo gli scontri etnici di giugno nel meridione che hanno causato centinaia di morti e circa 400mila profughi.
Il piccolo Paese, povero di risorse naturali, ha un’importante posizione strategica. Sia Russia che Stati Uniti hanno qui basi militari e spingono per aumentare la loro presenza. Due giorni fa funzionari Usa si sono incontrati con tutti i partiti vincitori, per discutere un accordo per mantenere la base aerea di Manas, essenziale alla Nato per i rifornimenti delle truppe in Afghanistan. Il Paese è anche membro della Shanghai Cooperation Organization, insieme a Russia e Cina.
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