Elezioni (farsa) in Myanmar: per i partiti, comizi “silenziosi”
È quanto prevede la Commissione elettorale, in una direttiva in 14 punti. Illegali canti, slogan, bandiere e marce per non “macchiare” l’immagine del Paese. Pugno duro contro “l’uso politico della religione”, per bloccare altre rivolte di piazza. Monaco buddista condannato a sette anni di carcere.
Yangon (AsiaNews/Agenzie) – La Commissione elettorale birmana ha dichiarato illegali canti, marce, bandiere e slogan durante i comizi, per non “macchiare” l’immagine del Paese. I partiti che parteciperanno al voto, quindi, potranno tenere riunioni fuori dalle rispettive sedi, ma solo se chiederanno il permesso con una settimana di anticipo e si atterranno alle rigide regole imposte nella campagna elettorale, fra cui “raduni silenziosi”. Intanto la Commissione asiatica per i diritti umani (Ahrc) denuncia l’arresto di un monaco buddista per attività anti-governative.
Il bavaglio ai comizi elettorali è inserito in una direttiva in 14 punti diffusa dalla Commissione, che regola l’iscrizione dei partiti e le modalità di svolgimento del voto. Al momento il governo non ha ancora ufficializzato il giorno in cui si svolgeranno le elezioni. Per partecipare, i partiti dovranno presentare almeno 1000 iscritti alle liste entro i prossimi 90 giorni. Finora hanno ottenuto l’autorizzazione governativa 33 nuove formazioni, che si aggiungono ai cinque partiti già esistenti. Fra questi non vi sarà il principale schieramento di opposizione, la Lega nazionale per la democrazia (Nld), che ha rifiutato di espellere Aung San Suu Kyi, condizione imposta dai militari per la partecipazione alla competizione elettorale.
Le direttive che regolano il voto impediscono inoltre “disordini” nei luoghi pubblici, fra cui: uffici governativi, organizzazioni, fabbriche, mercati, centri sportivi, scuole, ospedali e istituti religiosi. E proprio a questi ultimi, la giunta riserva una attenzione “particolare”. Oltre a bandire l’uso e il porto di armi, i militari vietano “lo sfruttamento della religione per finalità politiche”. Memore della rivolta del 2007, guidata dai monaci buddisti e conclusa in un bagno di sangue, il governo vuole impedire dimostrazioni di piazza che possano mettere a rischio il controllo del Paese.
La Commissione asiatica per i diritti umani (Ahrc) denuncia l’imprigionamento per attività anti-governative del monaco U Gawthita. Le autorità lo accusano di spostamenti “illegali” in Thailandia, alla ricerca di sostegno fra i movimenti dissidenti all’estero. Il tribunale lo ha condannato a sette anni, pure in assenza di prove concrete. Il monaco, che non ha partecipato alle rivolte del 2007, si è difeso sottolineando che cercava aiuti per le vittime del ciclone Nargis.
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