Effetti su tutto il Medio Oriente dal nuovo atteggiamento Usa verso Siria e Iran
Il segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice ha annunciato che funzionari americani prenderanno parte ad una conferenza promossa dal governo di Baghdad, alla quale sono stati invitati i sei “Paesi vicini”, compresi cioè Siria ed Iran, e i membri permanenti del Consiglio di sicurezza. La Rice ha dato l’annuncio nel corso di una riunione della commissione esteri del Senato degli Stati Uniti. “Appoggiamo la nuova offensiva diplomatica irachena”, ha detto. “Speriamo – ha aggiunto – che tutti i governi colgano questa opportunità per rafforzare i loro rapporti con l’Iraq e per lavorare per la pace e la stabilità della regione”. L’opportunità del coinvolgimento di Siria ed Iran nella stabilizzazione del Medio Oriente era sostenuta nel rapporto della commissione bipartisan sull'Iraq, guidata dall'ex segretario di Stato James Baker e da Lee Hamilton, presentato a dicembre e respinto dal presidente Bush.
Tel Aviv (AsiaNews) - L’annuncio che gli Stati uniti parteciperanno a due tornate di incontri – in marzo ed aprile – che includono Siria ed Iran rappresenta un radicale, e benvenuto, cambiamento nella politica americana sul Medio Oriente. Gli incontri programmati hanno l’obiettivo di stabilizzare la situazione in Iraq, ma, decidendo di avere un negoziato con Siria ed Iran, o almeno con la Siria, gli Stai Uniti si mettono su una strada del tutto nuova, con implicazioni potenzialmente di vasto respiro per tutti gli argomenti e per altre parti della regione, anzi, per la regione nel suo insieme.
Finora, i responsabili politici statunitensi sembravano considerare colloqui di questo tipo come un premio che non poteva essere dato a Paese ostili agli Usa, ai suoi interessi i suoi amici e le sue politiche, invece che come un veicolo, uno strumento, un’opportunità per far rientrare questa ostilità, per lavorare ad una soluzione del conflitto, nel quale tale ostilità ha trovato espressione
Non c’è dubbio che sia la Sira che l’Iran “non si sono comportati bene” per un certo numero di anni, e non solo a proposito dell’Iraq. Ora, coloro che propongono di parlare a loro, e con loro - invece che semplicemente denunciandoli, condannandoli e mettendoli in guardia - hanno persuaso che, in mancanza di una bacchetta magica che possa convincerli a cambiare i loro atteggiamenti e comportamenti, e in mancanza di qualsiasi credibile “opzione militare” a questo scopo, impegnarsi in colloqui diretti, in negoziati, è la sola risposta potenzialmente utile a questo comportamento di sfida. Questi argomenti appaiono ora essere stati ascoltati - e accettati.
Ed ora appare abbastanza possibile che questo profondo cambiamento politico – più che un cambiamento politico, una vera “sostituzione di modello” – possa estendersi anche alla situazione dei confini sud-occidentali della Siria, ai rapporti tra Siria e Israele, che a sua volta pesano sui complessi rapporti tra Siria e Libano. Prima di oggi, il primo ministro israeliano raccontava del divieto di Washington ad ogni proposito di Israele di negoziati di pace con Damasco. Quei ministri israeliani e capi militari che erano favorevoli a dare una risposta ai ripetuti inviti siriani ad intraprendere negoziati di pace si sono più volte sentiti dire dall’ufficio del primo ministro che gli Stati Uniti si opponevano persino a discreti contatti preliminari. E che c’erano ragioni di fondo per tale posizione, in particolare la continua interferenza siriana negli affari libanesi, la presenza in Siria di organizzazioni estremiste, la cattiva volontà siriana di sorvegliare i confini con l’Iraq… Solo se la Siria avesse significativamente cambiato i suoi atteggiamenti e fosse divenuta pacifica e collaborativa, si diceva, avrebbe potuto essere considerata un partner accettabile in un negoziato di qualsiasi tipo.
Ora questo principio non potrà essere ulteriormente applicato. In sua vece, è stato adottato un diverso approccio, cioè che, proprio perché ci sono problemi, conflitti, accuse, è necessario incontrarsi, parlare, negoziare. Perché qualcosa e forse tutto può essere risolto attraverso i negoziati, mentre nulla può essere risolto senza trattative.
Questo non significa che gli Stati Uniti o Israele possono pensare di abbandonare le loro giustificate posizione o abbassare le loro aspettative per pace, sicurezza e stabilità. Significa che la via migliore (forse l’unica) per ottenere ciò deve essere ottenuto, per la sicurezza di Israele, per la stabilità del Libano – non meno che per quella dell’Iraq – è la strada del negoziato. Dopo tutto, come si è spesso ripetuto nei circoli pro-negoziati di Israele, è con i nemici che si deve negoziare la pace (!) e proprio perché ora agiscono da nemici – altrimenti non ci sarebbe bisogno di fare nulla.
E’ troppo presto per sapere come andranno i colloqui sull’Iraq, di cosa esattamente si parlerà, chi sarà coinvolto, e così via. Ed è certamente impossibile prevedere esattamente come, o quando, questo cambiamento politico sarà applicato nella ricerca della pace tra Siria ed Israele, o nelle crescenti difficoltà tra Siria e Libano. E’ però innegabile pensare che qualcosa di veramente significativo è già accaduto, e che negoziati che fino a ieri apparivano impossibili, possono ora avviarsi. E se possono esserci, è consentito realisticamente sperare che ci saranno.