Educazione dei giovani e meno politica, la via per la pace a Mindanao
Mindanao (AsiaNews) – Nella guerra che da quarant’anni affligge la popolazione di Mindanao, “il raggiungimento della pace è possibile solo educando i giovani al dialogo e richiedendo una maggiore serietà e imparzialità a governo e Paesi coinvolti nel processo di pace (Malaysia e Libia)”. E’ quanto afferma ad AsiaNews Remedio F. Marmoleño, cattolica presidente del Silsilah Board of Trustees. Nato a Zamboanga nel 1984, il Sililah (catena) è un movimento per il dialogo interreligioso, che raccoglie esponenti del mondo musulmano e cristiano. Negli anni il movimento ha sviluppato il dialogo con diversi settori della società, dando priorità ai poveri, ai giovani, alla formazione dei leaders e ai mezzi di comunicazione sociale. [1]
Quali sono le principali problematiche vissute dalla popolazione di Mindanao?
I musulmani, attraverso il Milf, rivendicano da anni il “dominio ancestrale islamico” dell’isola. Questa situazione ha generato continui conflitti e un costante pregiudizio tra i musulmani e le altre comunità. La popolazione cristiana, a Mindanao da generazioni, vive nel terrore di essere un giorno soggetta alla sharia promossa dai fondamentalisti. Il permanere di queste differenze culturali non fa comprendere alla gente l’utilità del dialogo interreligioso, che nonostante gli sforzi è ostacolato di continuo.
Come vive in questo contesto la comunità musulmana?
I musulmani vivono da anni in una condizione di arretratezza economica rispetto al resto della popolazione e hanno poco spazio sul piano politico. Nelle province a maggioranza musulmana, l’instabilità dovuta alla presenza dei gruppi armati del Milf e la forte corruzione, rende di fatto impossibili gli investimenti da parte del governo e delle imprese private. Nelle aree ricche di risorse naturali essi sono invece in minoranza e il mancato sviluppo di queste zone, unito al pregiudizio da parte delle altre comunità, impedisce loro di trovare lavoro.
In che modo i leaders musulmani e quelli delle altre comunità stanno svolgendo il loro ruolo all’interno del dialogo interreligioso?
I responsabili delle comunità cristiane e indigene hanno svolto un lavoro visibile all’interno del processo di pace. Al contrario i leaders musulmani non si sono fatti valere tra la loro gente. Forse questo è dovuto al differente ruolo che ha il capo religioso all’interno della cultura islamica.
Come si può far comprendere ai giovani di entrambe le fedi l’opportunità del dialogo?
I giovani hanno bisogno di essere educati. Occorre insegnare loro il rispetto per le persone che hanno differenti tradizioni culturali e religiose. Devono essere estirpati i pregiudizi e le incomprensioni che sono radicate nelle loro menti e mostrare loro i valori della pace e della non violenza.
Che ruolo svolgono nel processo di pace osservatori internazionali, autorità governativa e ong?
C’è troppa politica nel processo di pace. I Paesi che dovrebbero facilitare il dialogo, come la Malaysia o la Libia, non si pongono come osservatori imparziali. Le Ong e le associazoni non hanno invece un programma specifico in merito alla pace eccetto il proposito di raggiungerla. Al contrario il governo centrale e l’esercito hanno un proprio programma di azione. Però esso non ha sempre come obiettivo il raggiungimento della pace.
Cosa la spaventa di questa situazione? Come può contribuire il popolo filippino al raggiungimento di una pace duratura?
Ciò che mi spaventa di più sono i nuovi gruppi fondamentalisti nati in questi anni, i quali mirano a stabilire un califfato pan - asiatico a Mindanao. Per raggiungere la pace è invece necessario che tutti i filippini lavorino insieme nel dialogo interreligioso per seguire da vicino l'evoluzine del processo di pace. Essi devono richiedere più responsabilità al governo filippino e al Milf e lavorare insieme per denunciare gli abusi compiuti da entrambe le parti. Tutti dobbiamo pregare e lavorare affinché la pace sia raggiunta il più presto possibile.
[1] Il conflitto tra esercito filippino e Moro Islamic Liberation Front è riesploso nel 2008 dopo dieci anni di tregua. Negli ultimi 17 mesi esso ha causato oltre 750mila tra profughi e rifugiati.