Educarsi al dialogo in famiglia per contenere la violenza
Mariti e ragazzi brandiscono coltelli contro mogli e coetanei: comunismo e povertà fra le cause
Ulaanbaatar (AsiaNews/Ucan) La violenza è uno degli aspetti che caratterizzano la società della Mongolia e i suoi effetti si ripercuotono in particolare sulle donne. La Chiesa, convinta che la soluzione è imparare ad ascoltarsi, si è avvicinata a questa problematica impegnandosi a diffondere tra le famiglie una cultura del dialogo.
Da diverse settimane, presso il Centro missionario cattolico di Ulaanbaatar, è in atto un ciclo di incontri sul controllo degli istinti violenti. Il seminario è stato organizzato da suor Nellie Zarraga, dell'ordine del Cuore Immacolato di Maria.
"Mentre nelle società occidentali la gente è abituata al dialogo, in Mongolia, soprattutto gli uomini, alzano subito le mani per risolvere qualsiasi discussione", sottolinea Oyunsuren, psicologa cattolica di 26 anni.
"Il problema è riconducibile anche ad una scarsa educazione. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, nel 1991, le famiglie hanno preferito far proseguire gli studi alle figlie e mandare a lavorare i maschi", ha aggiunto Selenge, ricercatrice di storia.
Alle donne viene insegnato che non hanno il diritto di provare rabbia; alle violenze degli uomini, esse reagiscono spesso rimanendo in silenzio e dimostrandosi remissive. Anche questa, però, è una forma di violenza, secondo Oyunsuren: "L'indifferenza - spiega la psicologa - può fare più male di un pugno in faccia. Non sfogare questo tipo di sentimento, può compromettere la salute della persona".
Altre cause delle abituali violenze dei mariti e dei ragazzi per le strade - che con grande facilità brandiscono coltelli contro mogli o coetanei - hanno spiegazioni di tipo storico e sociologico. "Sono le tensioni generate da un aumento crescente della popolazione (da 500 mila a 1 milione negli ultimi 10 anni) e del tasso di povertà" (arrivato al 40%, secondo fonti ufficiali), ha evidenziato Selenge. "In Mongolia questo tipo di sfoghi sono stati repressi per più di 80 anni, da quando, nel 1920, il Paese è passato al regime comunista. Da allora la popolazione ha abbandonando le tradizioni nomadi, che le garantivano un'estrema indipendenza, per diventare proprietà dello Stato. Questo ha sempre proibito libertà di espressione, vietando anche di praticare i nostri riti tradizionali come la celebrazione del Nuovo anno lunare e il Naadam, una festa in cui si svolgono combattimenti, gare di arco e equitazione".