E' morto p. Alessandro Giacomelli, missionario fra i Santal
Il missionario PIME, 68 anni, è morto lo scorso 18 ottobre. Per oltre 40 anni ha vissuto con i gruppi Santal e lavorato per la loro evangelizzazione e sviluppo. Il ricordo del superiore regionale del Bangladesh e di un suo confratello, che lo conosce dall’inizio, p. Enzo Corba.
Dhaka (AsiaNews) – Un missionario ancora “alla ricerca”, “innamorato” dell’Uomo, con un enorme senso della giustizia, un esempio di “completa incarnazione” con il popolo tribale, a cui ha dedicato tutta la sua vita. Così il superiore regionale del Pime in Bangladesh, p. Francesco Rapacioli e p. Enzo Corba, ritraggono il loro confratello Sandro Giacomelli, 68 anni, morto ieri ,18 ottobre, in un incidente stradale a Konabari, una zona industriale a nord di Dhaka. Si era recato in quella zona per fare visita ad alcuni tribali che lavorano lì. Uscito in moto a trovare delle famiglie, è stato investito da un camion che lo ha ucciso sul colpo.
Originario di Isolaccia, diocesi di Como, p. Giacomelli ha lavorato per più di 40 anni nella diocesi di Dinajpur, nel nord-ovest del Paese, in modo particolare con i tribali Santal. Da circa un anno era impegnato a servizio dei lavoratori tribali emigrati nella capitale. Entra nell’Istituto Pontificio Missioni Estere (PIME) nel 1957. Il 14 marzo 1964 viene ordinato presbitero e nel settembre dello stesso anno parte per la missione di Dinajpur, nell’allora Pakistan orientale, divenuto nel 1971 Bangladesh. Dal 1965 al 1968 è nella parrocchia di Dhanjuri. Qui, insieme a p. Calanchi, e incoraggiato da p. Corba - allora responsabile della comunità - decide di imparare anche la lingua bengalese. “Una scelta di rottura per il tempo – spiega p. Rapacioli, in Bangladesh da 10 anni – fino ad allora i missionari operavano per lo più in zone tribali, di cui imparavano la linguaggio particolare, senza dare importanza alla lingua nazionale”. In questo senso a p. Giacomelli si guarda un po’ come un “pioniere”. Per studiare si trasferisce nel sud del Paese a Barisal. Vive ad Andharkata, dal 76 al 76, e poi di nuovo a Dhanjuri, sempre in ambiente tribale.
Ma è nel 1986 che inizia la missione che “ha vissuto in modo più profondo”, raccontano i suoi confratelli. Si trasferisce, da solo, nel villaggio di Kodbir. Fino al 2000 vive, lavora e soffre insieme ai suoi Santal: circa 600 nel villaggio, ma oltre 4mila in tutta la zona e 2milioni in Bangladesh. P. Corba spiega che p. Giacomelli “amava questo popolo per la semplicità della sua cultura. Considerava l’istruzione, il risparmio e il lavoro nel rispetto della natura, i pilastri per lo sviluppo della sua gente”. “A Kodbir – aggiunge p Corba, che gestisce un ashram ("luogo di ritiro") cristiano a Dinajpur – ha istituito cooperative di credito, lavorato la terra e fatto l’insegnante, tutto con successo”. Parte della sua eredità, ad esempio, è destinata a mantenere gli studi di 5 ragazzi.
“A chi gli chiedeva: ‘da dove vieni?’ – ricorda il superiore regionale - lui rispondeva: ‘da Kodbir sono un Santal’. Per noi giovani appena arrivati è stato un esempio edificante di amore per l’uomo, per la missione. In un certo senso si può dire che con p. Giacomelli si chiude una generazione di missionari completamente dediti all’evangelizzazione dei tribali”. Domani saranno celebrati i funerali nella cattedrale di Dinajpur. Il missionario sarà sepolto a Kodbir, dove aveva detto a più persone di voler la sua tomba.
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