Due terzi dei migranti cinesi lavorano in nero
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Solo il 34% delle decine di milioni di lavoratori migranti cinesi ha un regolare contratto. Gli altri continuano a lavorare in nero, nonostante la legge entrata in vigore 2 anni fa prescriva il contratto obbligatorio.
E’ l’esito di un’indagine della ditta legale Beijing Zhicheng che nel primo semestre del 2008 ha intervistato 581 migranti provenienti da 15 province e municipalità. Un’altra sua contemporanea indagine ha sentito 2.592 dipendenti presso 16 Centri per i diritti dei lavoratori, accertando che solo il 20% circa aveva regolare contratto.
La situazione è migliorata rispetto al 2007, quando appena il 12,5% dei migranti risultava avere un contratto. Ma la nuova normativa, celebrata dal governo come la soluzione per i diritti dei migranti, risulta poco applicata, specie da parte di piccole e medie imprese. Tra l’altro, questo significa che questi lavoratori sono privi dell’assicurazione sociale e che possono essere licenziati in ogni momento.
Inoltre circa il 40% di chi è stato sentito presso i Centri per i diritti ha sofferto infortuni sul lavoro e il 55% non ha ancora ricevuto tutti i salari arretrati. E’ del pari frequente la violazione degli altri diritti previsti dalla nuova legge: più della metà degli operai deve lavorare oltre le 8 ore quotidiane e il 93% riceve bassi compensi per il lavoro straordinario o addirittura nulla.
Il dato è in totale contrasto con quelli ufficiali del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, i cui accertamenti indicano che il 93% delle imprese di buone dimensioni ha siglato regolare contratto coi dipendenti.
Gli esperti osservano che gli accertamenti devono riguardare, piuttosto, le piccole e medie imprese, che fanno maggior uso di mano d’opera migrante e che hanno maggiori vantaggi a violare la legge. Dicono che vanno aumentati i controlli pubblici, se davvero il governo vuole tutelare i lavoratori invece che sacrificarli ancora alle esigenze delle aziende estere, invogliate a investire in Cina anche per la scarsa tutela ai diritti dei dipendenti. A dicembre è esploso lo scandalo della multinazionale francese Carrefour, accusata di costringere i lavoratori a siglare il contratto con una terza parte procacciatrice di mano d’opera, così da evitare ogni responsabilità diretta.