Dopo le armi, il denaro: la nuova strategia cinese per soffocare il Tibet
Il nuovo governatore della provincia autonoma presenta un piano da 60 milioni di euro per “aiutare” monaci e religiosi del buddismo tibetano. Ma lancia anche i “monasteri modello”, una sorta di ghetto dorato per spezzare l’influenza che altri luoghi di culto hanno sulla popolazione locale. Una fonte di AsiaNews: “È una trappola”.
Lhasa (AsiaNews) - Pensioni “di anzianità”, sgravi fiscali e parziale libertà di culto. Sono queste le “esche” che il governo cinese sta cercando di usare per attirare i monaci tibetani nei “monasteri modello”, luoghi di presunta preghiera dove riunire tutti coloro che professeranno fedeltà al regime comunista sconfessando il Dalai Lama e l’idea di autonomia culturale per il Tibet.
Il programma è stato presentato da Chen Quanguo, che nel settembre 2011 è stato nominato Segretario del Partito e governatore della Provincia autonoma del Tibet. Chen è considerato un “moderato” rispetto al suo predecessore, il “mastino” Zhang Qingli, che con il suo atteggiamento violento aveva provocato le massicce rivolte avvenute nel 2008 a Lhasa e dintorni.
Chen, presentando il progetto, ha dichiarato che Pechino “è pronta a spendere 600 milioni di yuan (circa 60 milioni di euro) per i monaci buddisti. Vogliamo fornire pensioni di anzianità, contributi sanitari e sostegno giornaliero. Inoltre ci impegneremo per una maggiore diffusione di stampa e contenuti audio e video nella lingua tibetana”.
Quello che sembra essere un ponte di dialogo nasconde però un trucco: per “aiutare” tutti i religiosi (circa 50mila nell’area delle 3 province a maggioranza tibetana), il governo vuole proporre la creazione di “monasteri modello”: luoghi di nuova costruzione, chiusi al pubblico, dove ospitare e far lavorare i monaci nell’ambito della loro fede. Dei veri e propri ghetti, secondo una fonte di AsiaNews, che aggiunge: “Qualcuno si farà ingannare, ma non molti”.
Il governo centrale cerca in questo modo di spezzare la presa che alcuni monasteri, come quello di Kirti, hanno sui giovani tibetani: è da questo monastero che sono usciti i 12 monaci che si sono auto-immolati con il fuoco per protestare contro il dominio comunista e chiedere il ritorno del Dalai Lama nella sua casa. A sostegno di questi dimostranti si è alzata la voce di tutto il mondo.
Dopo gli Stati Uniti e l’Unione Europea, infatti, anche diversi singoli Paesi hanno chiesto alla Cina di evitare nuovi suicidi. Questo rituale, che il buddismo proibisce se non in casi estremi (e soltanto secondo una dottrina molto antica), è stato condonato persino dal Dalai Lama. Il leader spirituale del buddismo tibetano ha infatti sottolineato “la disperazione che porta dei giovani alla morte”.
Il programma è stato presentato da Chen Quanguo, che nel settembre 2011 è stato nominato Segretario del Partito e governatore della Provincia autonoma del Tibet. Chen è considerato un “moderato” rispetto al suo predecessore, il “mastino” Zhang Qingli, che con il suo atteggiamento violento aveva provocato le massicce rivolte avvenute nel 2008 a Lhasa e dintorni.
Chen, presentando il progetto, ha dichiarato che Pechino “è pronta a spendere 600 milioni di yuan (circa 60 milioni di euro) per i monaci buddisti. Vogliamo fornire pensioni di anzianità, contributi sanitari e sostegno giornaliero. Inoltre ci impegneremo per una maggiore diffusione di stampa e contenuti audio e video nella lingua tibetana”.
Quello che sembra essere un ponte di dialogo nasconde però un trucco: per “aiutare” tutti i religiosi (circa 50mila nell’area delle 3 province a maggioranza tibetana), il governo vuole proporre la creazione di “monasteri modello”: luoghi di nuova costruzione, chiusi al pubblico, dove ospitare e far lavorare i monaci nell’ambito della loro fede. Dei veri e propri ghetti, secondo una fonte di AsiaNews, che aggiunge: “Qualcuno si farà ingannare, ma non molti”.
Il governo centrale cerca in questo modo di spezzare la presa che alcuni monasteri, come quello di Kirti, hanno sui giovani tibetani: è da questo monastero che sono usciti i 12 monaci che si sono auto-immolati con il fuoco per protestare contro il dominio comunista e chiedere il ritorno del Dalai Lama nella sua casa. A sostegno di questi dimostranti si è alzata la voce di tutto il mondo.
Dopo gli Stati Uniti e l’Unione Europea, infatti, anche diversi singoli Paesi hanno chiesto alla Cina di evitare nuovi suicidi. Questo rituale, che il buddismo proibisce se non in casi estremi (e soltanto secondo una dottrina molto antica), è stato condonato persino dal Dalai Lama. Il leader spirituale del buddismo tibetano ha infatti sottolineato “la disperazione che porta dei giovani alla morte”.
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