Dopo 40 anni, costretta a chiudere una chiesa cattolica a West Jakarta
di Benteng Reges
La Christ’s Peace Church era attiva dal 1968 negli stessi edifici, di cui gli abitanti locali musulmani contestano oggi l’utilizzo per attività religiose. Appoggiati anche da polizia e funzionari del posto il gruppo di estremisti vince la sua battaglia: la parrocchia non ha i permessi legali necessari e quindi deve interrompere ogni attività. Ma per anni la chiesa aveva cercato di ottenerli, ottenendo solo il rifiuto da parte del governo.
Jakarta (AsiaNews) – Ancora una volta in nome della legge, la libertà di religione – uno di diritti umani garantito dalla Costituzione indonesiana – è stata violata. È successo il 23 novembre scorso a South Duri, West Jakarta, dove un gruppo di musulmani con l’appoggio delle autorità locali ha costretto la parrocchia cattolica della Christ’s Peace Church ad interrompere ogni attività religiosa. Il pretesto è sempre lo stesso: la parrocchia non ha il permesso legale per costruire luoghi di culto.
La Christ’s Peace Church conta almeno 4mila fedeli e nel fine settimana tiene tre messe. È attiva negli stessi edifici dal 1968. Contattato da AsiaNews il parroco, p. Matthew Widyalestari MSC, ha confermato l’incidente, di cui hanno parlato anche i media indonesiani: “Per ora il gruppo musulmano e la autorità governative locali ci hanno imposto di fermare tutte le nostre attività, adducendo come causa il ‘bene comune’”.
La vicenda
Tutto è cominciato per delle voci sulla costruzione di una nuova chiesa sulle terre della parrocchia. Funzionari del governo il 19 novembre sono andati a chiedere spiegazioni e il parroco non era in possesso del permesso per edificare luoghi di culto, ma solo una casa. Da allora un gruppo di musulmani locali, autodefinitosi Cooepration Forum for Mosque, Prayer Rooms and Kornaic Group of Duri Selatan, ha iniziato a mettere in discussione la stessa legalità della parrocchia, che “usa come chiesa quello che invece è il centro congressi della Fondazione Madre del Sacro Cuore”. Fino a che il 23 novembre, dopo la preghiera del venerdì, circa 70 musulmani si sono diretti al grido di “Allah è grande” contro la parrocchia, chiedendone la chiusura. È poi seguito un incontro tra i manifestanti, personale cattolico, autorità e polizia locale. “Alla fine - racconta p. Widyalestari - ci hanno costretti a firmare un documento, in cui ci impegniamo a metter fine ad ogni attività altrimenti ogni responsabilità di possibili aggressioni sarebbe stata solo nostra”. Volevano anche far togliere ogni simbolo religioso dall’edificio, “ma a questo ci siamo opposti fermamente”, aggiunge il sacerdote. Nel pomeriggio è poi arrivata la lettera ufficiale dal sotto distretto di Tambura, che impone la sospensione di ogni attività nella parrocchia.
Le difficoltà di poter praticare la fede
P.Widyalestari ammette che la zona dove sorge la chiesa era una zona ad uso residenziale. Per questo nel 1968 la cappella era stata avviata come stanza multifunzionale di una scuola cattolica guidata dalla Fondazione della Madre del Sacro Cuore. Ma la comunità è cresciuta e serviva altro spazio. Nel 1998 le autorità hanno cambiato la destinazione del territorio da uso residenziale ad uso sociale. La parrocchia ha seguito tutte le pratiche necessarie per ottenere il permesso di edificazione per una nuova chiesa, ma puntualmente le autorità lo hanno negato senza spiegazione. Gli edifici della comunità cattolica, inoltre, sono stati utilizzati più volte come centro di aiuti per tutta la popolazione locale in seguito a situazioni d’emergenza. L’ultima, durante le inondazioni di febbraio scorso.
In Indonesia un nuovo decreto ministeriale congiunto del ministero degli Affari religiosi e quello dell’Interno, nel 2005, doveva mettere fine ad episodi di violenza contro le cosiddette chiese domestiche, facilitando le pratiche per concedere i permessi di edificazione. Ma le aggressioni non sono finite e le comunità cristiane sono ancora costrette alla semi-illegalità, con il rischio di dover rinunciare del tutto alla pratica religiosa.
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