22/03/2011, 00.00
BHUTAN
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Dopo 18 anni un arcivescovo visita in segreto i cristiani del Bhutan

di mons. Thomas Menamparampil, sdb
In Bhutan i cristiani sono in aumento, ma le autorità vietano qualsiasi forma di proselitismo, non permettono la costruzione di chiese e la celebrazione in pubblico delle messe. Mons. Menamparampil, arcivescovo di Guwahati (India), racconta ad AsiaNews la vita delle piccole comunità cristiane, di cui molte mai visitate da un prelato. Il fervore dei cristiani testimoni di Cristo nonostante i soprusi e i divieti del governo.

Timphu (AsiaNews) – Costretti a pregare nelle proprie abitazioni, discriminati nell’istruzione e nelle cariche pubbliche e sempre tenuti sotto stretta osservazione dalle autorità, i cristiani del Bhutan sono in crescita. È quanto emerge dalla recente visita di mons. Thomas Menamparampi, arcivescovo di Guwahati (India). Il prelato racconta ad AsiaNews il suo viaggio iniziato lo scorso 9 marzo e conclusosi in questi giorni, dove ha verificato la situazione di cattolici e protestanti di 9 fra città e villaggi del Paese.  

Mons. Menamparampil è riuscito a entrare nel piccolo regno himalayano grazie a un programma di formazione per i giovani bhutanesi, dopo quasi 20 anni di continui divieti da parte delle autorità. La sua ultima visita alle comunità cristiane è avvenuta nel 1993. A tutt’oggi le autorità non permettono l’ingresso di missionari. Il Paese è compreso all’interno della diocesi di Darjeeling (India), ma il governo  vieta qualsiasi forma di proselitismo, non permette la costruzione di chiese e la celebrazione in pubblico delle messe. A tutt’oggi l’unico sacerdote ammesso in Bhutan è p. Kinley sj, che organizza con il permesso del governo programmi di formazione e istruzione per i giovani, anche se in questi anni alcuni sacerdoti sono riusciti periodicamente a officiare messe private. 

Ho iniziato il mio viaggio lo scorso 9 marzo partendo da Phuntsholing. C’erano con me tre amici cattolici che negli ultimi anni si sono impegnati nella formazione dei giovani bhutanesi. Il nostro viaggio ci ha portato nelle città di Geddu, Timphu, Tongsa, Bumthang, Mongar, Tashigang, Kanglung e Sandrup Jongkhar, dove abbiamo incontrato circa trecento cristiani, che vivono divisi in piccole comunità sparse per il regno.

L’11 marzo siamo giunti nella capitale Timphu, dove ho celebrato messa insieme agli unici cattolici del luogo, che da decenni  si riuniscono in silenzio in una piccola sala poco appariscente. Si ricordavano ancora la mia ultima visita avvenuta circa 18 anni fa, quando p. Mackay sj, stava ancora lavorando in Bhutan. Dopo la sua morte, non vi è più stato un missionario cattolico nel regno. La comunità di Timphu è formata da un vecchio gruppo di cristiani che in passato avevano incontrato il cattolicesimo a Darjeeling e sono rimasti fedeli per tutti questi anni. La loro abitudine al silenzio e alla discrezione, imparata sotto il regime assoluto di re Jigme Singye Wangchuck, li ha fatti accettare dalle autorità, che a volte permettono anche ad alcuni stranieri di unirsi a loro in preghiera.

Tutte gli altri cristiani presenti in Bhutan sono protestanti di gruppi indipendenti  vicini alle chiesa pentecostale. Piccole comunità di 10-20 famiglie, spesso senza alcun contatto con gli altri cristiani della zona. In questi mesi la nostra diocesi ha inviato nei vari distretti alcuni volontari dei programmi di formazione che ci hanno aiutato a organizzare il nostro tour.

Ovunque siamo stati accolti con entusiasmo, anche se sapevano che eravamo cattolici e che io ero un arcivescovo. Le lunghe strade tortuose sono state estenuanti, per andare da un villaggio all’altro abbiamo impiegato ogni volta circa sette ore di auto. Ma questo è ciò che ha reso speciale la nostra visita fra la popolazione. Infatti, non credevano che avessimo attraversato pericoli e fatiche sulle strade del Bhutan solo per incontrali e portare loro coraggio. Molti non volevano lasciarci partire.

Nei piccoli villaggi a oltre 2500 metri di quota, ho trovato una popolazione molto salda nella propria fede e desiderosa di conoscere e imparare il cristianesimo.  Nonostante la poca formazione, i pastori amano la Bibbia, che ciascuno custodisce gelosamente, e hanno una certa familiarità con i testi. Qui tutti aspettano con ansia la visita di credenti cristiani che può dare loro ulteriori istruzioni.

L’impressione che ho avuto è quella di vivere ai tempi degli Atti degli apostoli. Molti gruppi sono organizzati, ma non hanno dei riconoscimenti ufficiali da parte della comunità protestanti. Altri ci hanno dato l’impressione di essere dei cristiani “fai da te”, mentre alcuni danno sembrano ancora in ricerca. Tuttavia abbiamo provato in mezzo a loro una sensazione di calore, intimità, fiducia, di entusiasmo e di attesa che ci ha testimoniato la presenza viva dello Spirito Santo fra quella gente.  Questi cristiani si radunano in case private per pregare e a turno ogni  famiglia mette a disposizione la propria abitazione per la riunione. Il loro culto è molto semplice: cantano inni, leggono la Bibbia e ne commentano i brani e terminano con una preghiera collettiva. Durante queste riunioni condividono la loro esperienza e ascoltano le testimonianze di altri cristiani. A volte invitano anche gli amici non cristiani ad unirsi a loro. Alcuni si convertono, soprattutto se la preghiera aiuta a guarire dalle malattie.

Quello che ho notato è un deciso aumento dei cristiani dall’ultima visita. Secondo alcuni i fedeli sono oltre 10mila e le conversioni avvengono soprattutto fra la comunità di origine nepalese, divenuti cittadini del Bhutan. Infatti, le Chiese evangeliche hanno fatto dei passi avanti in Nepal e questi cambiamenti hanno influenzato anche la popolazione nepalese del Bhutan. Tuttavia, serviranno anni per poter interpretare questa tendenza. La maggior parte dei nepalesi che sono emigrati nel Paese proviene da un contesto indù e sono circa il 40% della popolazione. L’etnia dominante è quella tibetana di religione buddista, che rappresenta circa il 60% su 800mila abitanti.  

Fra i cristiani la coscienza religiosa è in una fase iniziale e la maggior parte accetta il cristianesimo nella sua totalità, ma non è disposta a seguire i dettami di una chiesa particolare. Tuttavia il loro fervore è grande. L’aumento dei cristiani in Nepal – Stato laico dal 2006 – dimostra che con una maggiore libertà religiosa anche in Bhutan i cristiani potrebbero essere centinaia di migliaia. Le autorità sono più tolleranti rispetto al passato, ma vietano ancora il culto pubblico e le conversioni. 

Anche se non vi è una persecuzione diretta, il governo scoraggia le religioni diverse dal buddismo in vari modi. In caso di domande per concorsi scolastici e lavoro nell’amministrazione pubblica occorre specificare la propria fede religiosa e spesso per i cristiani è difficile ottenere un appuntamento, vincere un concorso o accedere alla scuola superiore. Le autorità hanno anche altri modi meno espliciti, ma più duri per fare pressioni sui cristiani. In uno dei villeggi ci hanno raccontato che l’amministrazione ha tagliato loro l’elettricità, dopo che ha scoperto la presenza di cristiani. Non contente le autorità hanno anche ordinato lo stop di qualsiasi attività religiosa, minacciando di tagliare l’acqua e di demolire le abitazioni utilizzate come luoghi di culto. Di solito queste misure così drastiche avvengono quando vi è una denuncia da parte degli abitanti di religione buddista o indù.    

Nonostante questa situazione, non ho trovato cristiani preoccupati o scoraggiati.  Anzi molti di loro pregano e attendono con ansia il giorno in cui il governo accetterà la libertà di culto anche in pubblico. Essi pensano che trattando con gentilezza e amore i buddisti potranno ottenere un giorno la libertà religiosa. Alcuni gruppi di cristiani stanno già pianificando tranquillamente la costruzione di chiese, ma devono fare attenzione. Infatti, la lobby dei monaci buddisti è ancora molto potente e non perde occasione per ricordare la supremazia e l’importanza della cultura buddista in Bhutan.

Il concetto di "Cultura" è un argomento molto sensibile in Asia. La maggior parte delle persone non sanno fare una distinzione tra cultura e religione. Comunicare il cristianesimo è possibile solo se non si compromettono le varie identità culturali e purtroppo oggi i cristiani non sempre riescono in questo intento.  Ma gli asiatici sono persone molto profonde e anche i semplici abitanti dei villaggi sono in grado di giudicare ciò che è reale e da ciò che non lo è, ciò che arricchisce l'identità e aumenta la loro cultura e cosa no. La nostra sfida in tali situazioni è invitare le persone a una più profonda riflessione sulla propria identità, sul loro compito sulla terra e sul loro destino. In Bhutan i giovani sono dotati, sono desiderosi di imparare e seguono i nostri programmi di formazione con grande interesse. Stiamo cercando di creare gruppi di sostegno che sponsorizzano la formazione, le competenze e la diffusione dei nostri programmi, nei nostri viaggi nei Paesi dell'Asia meridionale. I giovani bhutanesi meritano questo aiuto e sono sicuro che il loro lavoro sarà sempre più fecondo in futuro. 

Queste parole di Isaia 2:2-4 mi ispirato durante questi giorni: "Avverrà negli ultimi giorni che il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti, e sarà più alto dei colli; e tutte le nazioni affluiranno ad esso, e molte di coloro che vengonodicono: 'Venite, saliamo al monte del Signore ... perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri' ". Non è senza ragione che il Signore ha sollevato l'Himalaya sopra tutte le colline e li ha fatti suoi. Avremo bisogno di discernere le vie del Signore su queste alte montagne e tra questa gente meravigliosa.

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