Donne e discriminazione, il regime impone esami ginecologici a chi vuole lavorare
Wuhan (AsiaNews) - Una donna che cerca lavoro in Cina deve subire controlli ginecologici, ispezioni vaginali e pap test. Per quanto possa sembrare assurdo, è quanto accade a chi propone la propria candidatura per un lavoro governativo nella provincia centrale dell'Hubei. La storia (riportata dal quotidiano cinese Legal Daily) sottolinea come nonostante i grandi proclami di "liberazione delle donne" del Partito comunista cinese, esse siano ancora considerate gli ultimi ingranaggi del sistema economico nazionale.
La denuncia viene da una studentessa di medicina di nome Xiaochun, che si è recata presso gli uffici governativi della provincia per candidarsi a un lavoro sociale. Nel corso del colloquio le hanno chiesto quando aveva avuto le prime mestruazioni; inoltre è stata costretta a sottostare, insieme alle altre candidate, a una serie di esami umilianti fra cui una "ispezione vaginale" e un pap test. Inoltre, per essere considerate come candidate valide, hanno dovuto dare informazioni intime.
Umiliate e infuriate, le candidate si sono riunite davanti al Dipartimento per la sicurezza sociale e le risorse umane di Wuhan, la capitale provinciale, per una protesta contro queste pratiche. Recavano cartelli con sopra scritto "Sì ai lavori governativi, no ai test ginecologici". Intervistata, Xiaochun spiega: "Sono esami inutili anche perché le malattie intime non si trasmettono con il normale contatto umano".
Il professor Han Guijun, docente presso l'università Zhongnan della capitale provinciale, spiega: "Questi test sono una discriminazione velata contro le candidate donne. Il governo dà un pessimo esempio alle aziende private, che ora potrebbero introdurre pratiche simili". Ma d'altra parte la discriminazione nei confronti delle donne sul luogo di lavoro è incardinata nella creazione stessa della Repubblica popolare cinese.
Secondo la All China Women Federation, infatti, dal 1949 le donne inserite nel mercato del lavoro sono aumentate, passando da 600 mila a 31,28 milioni nel 1978 (dal 7,5% al 32,9% della forza lavoro). Al momento le lavoratrici sono 370 milioni, un aumento imponente rispetto ai 330 milioni del 2004. Nonostante siano quasi il 50 % della forza lavoro attiva, si registra una forte disparità di trattamento rispetto agli uomini: le donne sono relegate soprattutto a lavori meno qualificati, a ruoli subordinati di scarsa soddisfazione materiale e morale.
Le leggi approvate negli anni '90 per promuovere la parità hanno peggiorato la discriminazione di genere nel lavoro, evidenziando soprattutto il fatto che la donna, dovendo essere anche madre, è soggetta a maggiori discriminazioni. Nella maggior parte dei casi, per la possibilità che restino incinte, le donne sono licenziate dopo pochi anni di servizio o mandate in pensione prima degli uomini. In passato, nelle unità di lavoro delle imprese statali si fornivano sussidi di maternità, ma ora il governo li ha ridotti o eliminati.
Le donne guadagnano circa il 30 % in meno rispetto agli uomini di pari grado; sono soggette a licenziamenti più facili perché i loro contratti non sono stilati sui parametri maschili; rischiano molestie di tipo sessuale e "nonnismo" da parte dei propri capi, che le costringono il più delle volte a occuparsi anche di compiti umilianti come le pulizie dei sanitari delle ditte.