Donne di Kabul rilanciano l'economia
Grazie a corsi di management in America, concessioni di microcrediti da tutto il mondo e ad una straordinaria voglia di ricominciare, le donne afghane stanno rimettendo in piedi l'economia della loro nazione.
Kabul (AsiaNews/Agenzie) A 4 anni di distanza dalla fine del regime talebano, le donne afghane stanno diventando il fulcro della rinascita economica del loro paese.
La guerra civile e l'intervento americano hanno creato una disparità sessuale in Afghanistan, che ora è composta al 55 % da donne; inoltre, solo nella zona di Kabul vi sono più di 70 mila vedove.
Ong e università estere stanno creando programmi per fare in modo che queste donne riprendano a vivere.
Sono quasi 10 mila le donne afgane coinvolte nel programma di microcredito "Brac" (Bangladesh Rural Advancement Committee). Nel giugno 2002 questa ong ha avviato il primo intervento per la ricostruzione del tessuto sociale ed economico dell'Afghanistan; sono partiti una serie di progetti nel campo della scuola primaria, dei centri sanitari e della microfinanza. Per ora nessun prestito è in sofferenza, e il progetto ha ricevuto l'approvazione del ministero afgano dello sviluppo rurale.
E' nato invece a Phoenix (Arizona, Usa) il progetto Artemide, che cerca di formare nuove imprenditrici tramite corsi di marketing, management e gestione clienti. Le prime studentesse selezionate in Afghanistan sono 15, un'elite proveniente dalla borghesia di Kabul che è riuscita a studiare anche durante il regime talebano. Il progetto nasce con la speranza che le diplomate, una volta tornate nel loro paese, possano diffondere quanto imparato.
Sotto il regime talebano alle donne non era permesso lavorare, e le ragazze non potevano frequentare le scuole. Dalla caduta del regime, milioni di ragazze sono rientrate nelle scuole, e le donne hanno fatto ripartire le loro carriere, ma gli analisti stimano che ci vorrà almeno una generazione prima che il tessuto sociale riesca a rimarginare questa ferita e si possa recuperare il tempo perduto.
Fino a pochi anni fa, Kamela Sediqi doveva nascondere la sua fiorente industria di ceramiche dai talebani. Usava un falso nome, lavorava da casa e doveva contrabbandare il materiale sotto il burqa. Era pericoloso ed illegale, ma lei è stata aiutata dal fratello e da altri membri della sua famiglia. "Non avevo né soldi né altro, solo l'idea" dice sorridendo. Ha preso in prestito i soldi da una sorella e ha comprato i materiali. Altre donne, coperte dalla testa ai piedi dal burqa, andavano a casa sua, prendevano i materiali, li nascondevano nel pesante indumento e tornavano a lavorare nelle loro case. Facevano rientrare da Sediqi il prodotto finito nello stesso modo, e il fratello della ragazza vendeva al mercato i risultati. Fino all'intervento degli alleati nel 2001, che ha posto fine al regime talebano, Sediqi ha lavorato per anni con un falso nome. Smesso il burqa, parecchie sue collaboratrici non l'hanno riconosciuta.
Al momento, è a capo di una società che dà lavoro a 270 donne; producono gabbioni, grosse strutture metalliche riempite con pietre, che vengono impiegate per i progetti di controllo degli allagamenti. La sua sfida più grande è quella di espandersi rapidamente e diventare abbastanza grande per poter andare incontro agli acquirenti, battendo le aziende straniere che operano nello stesso campo. L'affare va bene, perchè c'è molta domanda e gli uomini sono impegnati in altri campi. Per lei è "imperativo" che le donne si mobilitino in Afghanistan, per ricostruire un paese che non ha altre risorse da sfruttare.
25/03/2020 08:49
28/01/2023 11:15